La Fiat è quella che chiude gli stabilimenti in Italia ed apre in paesi dove la manodopera costa meno… ma il prezzo delle auto per gli italiani è a prezzo italiano. La Fiat è quella che minaccia la chiusura di stabilimneti storici: Pomigliano, Termini Imerese perchè la manodopera costa troppo e lo Stato interviene con soldi pubblici da anni. La Fiat è quella che paga la buonauscita di Cesare Romiti (il grande manager che avrebbe ristrutturato l’azienda) 101,5 milioni di euro (pari a 50 mila anni di lavoro per un operaio a tempo indeterminato, perdo il conto per un precario). Montezemolo ha uno “stipendio” di 6 milioni di euro. Un altro manager Fresco in 5 anni ha percepito 6 milioni di euro… Come dire, i debiti sono di tutti ed i guadagni dei soliti noti.
Rosario racconta la tragica morte del papà e la sua battaglia da solo per la giustizia
“Una vita invisibile Mio padre, Antonio D’Amico ha lavorato per 32 anni in Fiat. Entrò come operaio di II livello fino ad arrivare a quadro di VII livello era Capo Ute, gestiva settanta persone. A settembre del 2002 dopo una vita di sacrifici, sarebbe andato in pensione. Spesso andava a Torino per i collaudi, avviamenti di linea, per proporre nuovi progetti. È stato lui ad insegnarmi l’importanza del lavoro. Anch’io lavoro in Fiat. Non ebbi bisogno di raccomandazioni, ma essere il figlio di Antonio era una garanzia, era stimato da tutti. L’azienda per lui era tutto. Lui entrò nel 1972 con la prova d’arte, era un carrozzerie e poi fu assunto a tempo indeterminato. Lavoravamo nello stesso reparto: la lastratura , dove si assemblano le lamiere. Però mio padre non era il mio capo, lì siamo circa 300 operai. In tutto il capannone fino ad oggi ci sono cinque mila persone. A fine di febbraio del 2002, mentre lavoravo, uno dei ragazzi con contratto a termine, guidava un carrello non mi sembrava che avesse padronanza, mancò poco che mi venne addosso. Alle 6.35 del 6 marzo del 2002, lo stesso ragazzo guidava un carrello elevatore, nell’area Ute, con una velocità superiore a 6 km orari, investì mio padre. Portava due contenitori con lamiere, probabilmente superavano l’altezza consentita del metro e sessanta, dunque la visibilità era limitata. Il tutto avveniva sotto i miei occhi, e sotto quelli di almeno altri trenta operai. Quel carrello aveva il marchio Cee, c’erano tre pedali, con un doppio sistema di frenata che garantivano un sistema abs, un pulsante sullo sterzo per la retromarcia. Ma il collega non ha visto mio padre e non ha fatto nulla per impedire l’impatto. Finì a terra sbattendo la testa. Abbiamo un’ambulanza in azienda, ma non era attrezzata dotata di ossigeno. Mio padre non ce la faceva a respirare, era fra le mie braccia e mi sentivo impotente. Sono trascorsi venti minuti prima che ne arrivasse un’altra. Intanto venne chiamata l’impresa di pulizia e veniva ripulita tutta l’area dov’era avvenuto il fatto. E’ morto dopo 40 minuti di agonia, giunse all’ospedale già senza vita. Quando arrivò la magistratura non c’erano più prove, furono sequestrati settanta carrelli e questo mi consolava perché significa che qualcosa non andava. Nel mio reparto allora, il 75% degli operai erano precari, il sistema lavoro richiederebbe una formazione e un patentino per poter guidare i carrelli, ma di fatto non era così. In quel periodo avevamo in produzione la nuova punto, l’azienda contava molto sulle vendite perciò c’era bisogno di produrre a ritmi elevati. Ci sono registrazioni nelle quali si vede benissimo che i carrelli viaggiano ad una velocità almeno doppia rispetto a quella prevista per norma. Ciò significa che un operaio produceva per due. Il ragazzo precario venne licenziato, ma fu assunto da una ditta esterna, all’interno della Fiat alcune lavorazioni vengono esternalizzate. Mentre per me cominciò un periodo di mortificazione e umiliazione, dove senza il mio avvocato non ne sarei uscito. Tutti i sacrifici, tutte le rinunce della mia famiglia per il bene dell’azienda, in un attimo erano scomparsi. I colleghi di lavoro non avevano visto, parliamo di circa trenta persone. Solo io avevo visto. Capii la mia solitudine, perciò giravo nell’azienda con un registratore, non feci mistero di questa cosa ed alcuni colleghi andarono a modificare le dichiarazioni fatte precedentemente. Io tornai a lavoro dopo dieci giorni di malattia. Nel frattempo nessuno dell’azienda telefonò a mia madre, per scrupolo morale, per un po’ di solidarietà, aveva perso il suo compagno di vita per ventotto anni. Quando rientrai, chiesi di essere spostato di reparto, non ce la facevo a stare dove avevo visto mio padre morire. Ma non c’era posto per me in nessuna lavorazione. Mi mandavano dieci minuti da una parte, dieci da un’altra e mi veniva detto ogni volta che non sapevano come impiegarmi. Mi mandarono a visita medica, perché secondo loro non ero più idoneo a svolgere le mie mansioni a causa del trauma subito, che di conseguenza influenzava anche la mia testimonianza. Dopo due mesi mi sospesero, in attesa del responso del collegio dei medici. Per altri sei mesi rimasi a casa, percepivo lo stipendio, la busta paga mi arriva a casa. Un giorno ho ricevuto un telegramma nel quale si chiedeva di presentarmi in azienda per lavorare alle 13 dello stesso giorno. Per me era impossibile. Andai il lunedì seguente e fu contestata la mia assenza, ma mi spostarono di capannone, anche lì non c’era lavoro per me, mi misero al turno centrale e non facendo più turni perdevo una parte cospicua di stipendio. Il mio legale mi consigliò di andare tutti i giorni a lavoro, con la mia divisa, anche se non venivo collocato in alcun posto. Un giorno mi chiamaraono e mi mandarono a lavorare alle porte, finalmente era uscito il lavoro per me, però lavoravo sempre con tensione perché loro aspettano il momento giusto per punirmi. Infine fui spostato nell’interporto di Nola. Qui siamo circa duecento operai, ci occupiamo di logistica… coloro che si sono ribellati al sistema, siamo tutti coloro che chiediamo i nostri diritti, non potendo essere licenziati per via del contratto a tempo indetermianto… siamo in un’area dove tutto è a norma, dove tutti i sistemi di sicurezza funzionano.”
[…] lavoro per me, però lavoravo sempre con tensione perché loro aspettano il momento giusto per punirmi. Infine fui spostato nell’interporto di Nola. Qui siamo circa duecento operai, ci occupiamo di logistica… coloro che si sono ribellati al sistema, siamo tutti coloro che chiediamo i nostri diritti, non potendo essere licenziati per via del contratto a tempo indetermianto… siamo in un’area dove tutto è a norma, dove tutti i sistemi di sicurezza funzionano».Questa la testimonianza di Rosario, un operaio Fiat che non ha abbassato la testa e che, per questo, ne ha pagato le conseguenze (e che ho ritrovato, postandolo così com’era formattato, qui: https://sdp80.wordpress.com/2010/06/16/morte-confinio-mobbing-alla-fiat-di-pomigliano/). […]