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Archive for novembre 2012

Nel 2008 visitai Taranto per la prima volta, giunsi in macchina e non notai quello che mi colpì l’anno dopo arrivando in treno. Dal finestrino del vagone vidi una nube sopra la città e contemporaneamente sentii un odore strano, non so perché lo associai alla diossina. Una volta arrivata chiesi informazioni ai due sindacalisti dello Slai Cobas che mi vennero a prendere: mi confermeranno che si trattava dell’odore dell’Ilva. Rimasi perplessa e mi chiesi, come sia possibile respirare, sopravvivere in quelle condizioni? Averlo scritto, aver raccolto le testimonianze dei lavoratori,  aver conosciuto Alessandro Marescotti di Peacelink non era stato sufficiente, dovevo vedere l’Ilva per capire. Visitai il rione Tamburi, adiacente all’acciaieria, mi spiegarono che ogni famiglia è stata segnata dalla morte di qualcuno per tumore. Una polvere rosa si posa ovunque, ciò vuol dire che si posa sui campi, sulla pelle, nei polmoni, il vento la porta chissà dove. Nel libro “Morti bianche” fra le noto riporto uno studio epidemiologico del dottor Sante Minerba, l’indagine è stata condotta nel 2007 e, già allora, a Taranto si registrava un eccesso di mortalità negli uomini pari al 28% per il cancro al polmone e del 460% per il cancro alla pleura rispetto allo standard regionale. Inoltre su 15 diversi tipi di tumore maligno che presentavano eccessi di mortalità nell’intera provincia ionica, 11 di questi erano contratti nel capoluogo. Nel 2008 Taranto aveva oltre 1200 decessi l’anno per neoplasie, nettamente al di sopra della media nazionale. La situazione diventò insostenibile quando nel 2011 vennero abbattute migliaia di pecore, le carni erano contaminate dalla diossina ma lo erano anche: latte, formaggio, ricotta. Scattò la rivolta degli allevatori,  anche la mitilicoltura era a rischio: nelle cozze vennero trovate tracce di diossina.

Ci sono oltre 10mila persone che lavorano per l’Ilva e 8mila per l’indotto. Questa acciaieria ha rappresentato per i pugliesi l’ancora di salvezza, ha permesso di non lasciare la loro regione. Ma a quale prezzo? Un ex operaio, in un’intervista all’Unità, nel 2001 raccontava: “Non riuscivo più a respirare. Ho fatto le analisi e mi hanno riscontrato una ostruzione alle vie aeree superiori. Così ho deciso di lasciare il posto. Prima di entrare all’Ilva, era quello il mio ideale di lavoro. A Taranto c’è solo quella speranza, ti aggrappi. Quando ho finito la scuola superiore e il militare, lavoro non ce n’era. Ho fatto il volantinaggio e poi ho lavorato come geometra per 100mila a settimana. Allora ho fatto la domanda per essere assunto all’Ilva. Se non vai là, il lavoro qui lo trovi solo in nero, capisci? Mi hanno preso, che fortuna! Pensavo, un milione e otto al mese”

Dal 2001 sono trascorsi un po’ di anni. Rispetto al periodo 2002-2005, nel 2009 i tumori nelle donne sono aumentati del 100% e l’Ilva è il potenziale responsabile per emissione di benzopirene. La mortalità infantile nel primo anno di vita è aumentata del 35% e sono aumentate del 71% le morti nel periodo perinatale. Questi dati sono stati diffusi dal Ministero della Sanità. La magistratura interviene con il sequestro. Mettere in regola gli impianti o bonificare a Riva costerebbe miliardi di euro, se non l’ha fatto prima, perchè dovrebbe farlo ora?  Ci sono responsabilità politiche (voti) e sindacali (consenso) precise, perché le denunce, gli studi in questi anni ci sono stati, ma non provenivano da persone che facevano parte di un establishment, quindi si è preferito chiudere entrambi gli occhi per arrivare allo scontro tra diritto alla vita e diritto al lavoro. Gli operai hanno occupato la fabbrica per difendere ciò che hanno, la natura si è scatenata: un fulmine ha colpito uno dei camini, ci sono stati feriti e ancora morte. Chi pagherà?

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Dove sono, chi sono, perché sono? Potrebbero essere i quesiti che tormentano il Presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi. Mascellone da soap opera, sorriso da fotoromanzo, viso da bravo ragazzo. Quando Berlusconi lo ha conosciuto deve aver pensato: “Bello, alto e quasi abbronzato. Il mio candidato ideale” Grazie al voto disgiunto della provincia di Chieti l’avversario Carlo Costantini perse per una manciata di voti. Nel 2008 in Abruzzo si è verificato il primo caso di astensionismo: solo il 53 per cento degli abruzzesi si è recato alle urne, la coalizione di centro destra sta governando con il 48 per cento dei consensi, ciò significa che su 1.209.080 elettori vengono rappresentate scarse 300 mila persone. L’astensione non punisce, il messaggio non viene recepito dalla politica come un dissenso, una presa di distanza da parte dei cittadini.

Gianni Chiodi ha maturato un’esperienza politica come sindaco di Teramo, oltre a conoscere bene la sua provincia, per candidarsi a governare una regione dovrebbe prepararsi su tutto il territorio. Ma evidentemente nel Pdl fra le priorità non c’è la conoscenza del territorio che si amministra. L’amministrazione di Chiodi comincia nel migliore dei modi: il 26 febbraio 2009 insieme ad altre 9 persone viene rinviato a giudizio per il crollo, avvenuto nel 2006, della discarica “La Torre” di Teramo. Dopo il terremoto del 6 aprile 2009 ha dichiarato: “L’Abruzzo non è una regione di cartapesta e non è una regione mafiosa  […] L’Abruzzo non è mafioso. Va bene la task force e altre iniziative simili, io sono contento perchè noi vogliamo essere protetti da queste possibili infiltrazioni mafiose, ma voglio che sia chiaro che oggi non c’è nulla: è sbagliata l’equazione Abruzzo uguale mafia” L’associazione Libera denuncia dal 2006 infiltrazioni mafiose nella Marsica dove sono stati confiscati immobili. L’Abruzzo ha un rapporto spropositato fra centri commerciali e popolazione, è noto che queste attività siano in mano alla criminalità organizzata per il riciclo di denaro. Chiodi in questi casi dev’essere tormentato dalla domanda: “Dove sono?”

L’ambiente non è un tema caro a Chiodi: in Abruzzo sono  previsti ben quattro inceneritori, per il momento bloccati dall’opposizione, così come le trivellazioni ad Ortona. Anche nel settore industria Chiodi ha collezionato la sua gaffe. Gli operai della Miss Sixty sono in cassa integrazione dal 2011. Qualche mese fa hanno scioperato davanti all’aeroporto, qui hanno visto il Presidente si sono avvicinati per spiegargli che a fine dicembre non avranno più gli ammortizzatori sociali, resteranno senza stipendio, lui ha pensato che fossero gli operai della Golden Lady: “Non vi preoccupate, quello (riferito all’imprenditore) vi minaccia, ma vuole solo più produzione” I delegati della Cgil hanno incalzato dicendo che la fabbrica non produce è stato trasferito tutto in Cina, non c’è uno straccio di piano industriale ed i nuovi acquirenti della società hanno sede alle Cayman. “E che problema c’è, faccio una telefonata alle Cayman”  Il retro pensiero di Chiodi dev’esser stato: “Questi sono della Cgil, non ci hanno votato e non ci voteranno” Forse non è stato solo un pensiero, perché l’rsu ha sentito pronunciare proprio queste parole. Le oltre 400 vertenze nella regione Abruzzo sono una realtà, basta non parlarne. Il tormento di Chiodi in questo caso è: “Chi sono”

Ormai la propaganda è iniziata e come ogni campagna elettorale che si rispetti, bisogna spararle grosse. La sanità abruzzese, dopo il disastro di Ottaviano Del Turco, è in pareggio e quindi ciò permetterà più servizi (parola di Presidente). Ad oggi si paga ancora il ticket di dieci euro e ad esempio all’ospedale di Teramo viene chiuso il reparto di endoscopia per mancanza di medici, all’ospedale di L’Aquila sono bloccate le visite dermatologiche, sono pieni fino a dicembre 2013 (in fondo il melanoma è solo un tumore maligno) Ovviamente Chiodi ha una soluzione per questi disagi: taglio sull’addizionale regionale Irpef che garantirà 80 euro in più annue a famiglia. Peccato che una visita medica privata costi 150 euro. In questo caos Chiodi si starà chiedendo: “Quando verrò rieletto?”

Questi sono solo alcuni esempi di mala rappresentanza, purtroppo non sufficienti a far compiere un passo indietro ai politici, del resto nessun lavoro rende come la politica. Ma i nodi vengono sempre al pettine e comunque oggi c’è il MoVimento 5 stelle che a chiare lettere chiede di andare a quel paese.

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Mi sono laureata nel 2004 all’età di 24 anni, l’anno dopo ho conseguito un master in statistica. Ho sempre lavorato e studiato perché a casa mia le cose funzionavano così ed anch’io ritenevo giusto non gravare completamente sui miei genitori.

Al primo superiore scoprii che la meritocrazia non esisteva. La professoressa di lettere mi interrogò insieme ad un altro compagno. Il pomeriggio precedente l’avevo trascorso a studiare, il risultato fu un 6 e mezzo per me e 7 e mezzo per il mio compagno. Scoppiai a piangere perché non ritenevo giusto quel voto, ricordo che si avvicinò Andrea e mi chiese: “Perché piangi?” “Ho studiato tutto il pomeriggio” risposi e lui aggiunse: “Ma lui è il nipote della Prof”. Diventai una furia, mi sentivo presa in giro. Dagli adulti avevo sentito ogni tanto pronunciare la parola lavoro accanto a quella raccomandazione, ma si erano dimenticati della scuola. Forse da quel momento ho iniziato ad avere repulsione per tutte le ingiustizie, prepotenze ed ingerenze. Capii che per essere appetibile nel mondo del lavoro avrei dovuto accelerare i tempi negli studi, così ho fatto.

Ma forse nel frattempo mi ero illusa che con la sola meritocrazia potessi fare grandi cose… nel 2006 passai una preselezione per l’Istituto San Paolo, ma sulla comunicazione c’era scritto: il fatto di aver superato la prova non mi dava diritto l’accesso alla prova successiva. Insomma, senza raccomandazioni non avrei trovato nemmeno il lavoretto da barista che mi ha permesso di pagarmi in parte gli studi.

Non serve un Ministro per dirmi che appartengo ad una generazione persa. Questa società l’ho trovata così, ma mentre si arrivava a questo punto io avevo 10 anni, il Premier Monti & co. erano già adulti, insegnavano, governavano, erano già in posti chiave, cos’hanno fatto per contrastare la disfatta politica, economica e sociale di questo Paese? Cos’hanno fatto per far restare i laureati della mia classe e delle successive in Italia? Nulla! Anzi, hanno partecipato a cene e banchetti offerti dai poteri forti, dalle lobby ed oggi sono stati chiamati, in base a quei rapporti coltivati nel tempo, a porre rimedio a qualcosa di irreparabile.

Mi ritengo fortunata perché almeno ho potuto realizzare il mio sogno, scrivere, parlare delle storture di questo Paese, dar voce a coloro che vengono considerati invisibili dai rappresentati che eleggiamo. Il distacco fra cittadino e politica ha creato un vuoto, questo vuoto è la causa delle generazioni perse perché i figli di papà possono studiare in scuole di prestigio, possono entrare in politica, in un consiglio di amministrazione o in aziende prestigiose, possono comperarsi un pezzo di carta (se proprio sono somari), quindi i genitori/governanti non possono nemmeno immaginare quali siano i problemi reali delle giovani generazioni (ma anche dei padri che perdono il lavoro). Devono essere contenti che non siamo una generazione violenta, perché abbiamo i nostri genitori che fungono da ammortizzatori sociali, ma quando anche loro verranno licenziati o la pensione diventerà sempre più irraggiungibile, le generazioni perse saranno diverse.

Se non pronunciamo più la parola futuro non è perché non ci piace, è perché ce l’hanno tolto ed i provvedimenti che stanno prendendo non fanno sperare nulla di buono. Alla fine: la Chiesa non paga l’Imu, gli uomini più ricchi d’Italia non pagano tasse in base al loro reddito, non è stato vietato il cumulo degli incarichi pubblici, non sono stati toccati coloro che gestiscono beni pubblici in concessione. Come potrebbe un Vescovo, un Befera o un trota sentirsi parte di una generazione persa? Al massimo potrebbero perdersi in Transatlantico! Allora chiamateci con il nostro nome: generazione indotta all’incazzatura causa disuguaglianze.

Intervento per l’incontro organizzato dal gruppo VotiamoliVia a Napoli sulla condizione delle donne al Sud

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 La sicurezza sul lavoro non è mai stata una priorità con il Governo Berlusconi: il Premier era impegnato a salvarsi dall’attacco della giustizia che definiva ad orologeria. Una delle eredità che ci ha lasciato riguarda proprio il ruolo dei giudici: se condannano personaggi in vista, Berlusconi piuttosto che Sallusti, è perché sono influenzati da ideologie comuniste. Passa il concetto che loro non commettono reati  e chi fa le indagini è un perfetto cretino, anche se il reo viene colto in flagranza di reato. In tutti questi passaggi, che sanno poco di democrazia e molto di anticostituzionale, l’informazione ci mette molto del suo: altra eredità che ci trasciniamo da novembre dello scorso anno. Il leit motiv è Beppe Grillo. Quindi fra un servizio giornalistico e l’altro per screditarlo o per travisare parole e fatti, le televisioni continuano a disinformare. La notte dell’11 novembre Giorgio Monti, operaio di 44 anni, è morto all’aeroporto di Fiumicino. L’uomo è rimasto schiacciato tra il portellone e la piattaforma per lo scarico dei bagagli. Giorgio non doveva essere lì, forse c’è stato un guasto ed è dovuto scendere dal mezzo che guidava. I colleghi il giorno dopo hanno scioperato creando disagio, l’unico modo per avere un po’ di attenzione. Il tg1 ha dato la notizia perché i passeggeri erano infuriati per i ritardi, il giornalista che ha fatto il servizio e la conduttrice, una delle promosse da Berlusconi per aver omesso in passato fischi e contestazioni, non si sono posti nemmeno una domanda: perchè è morto? Vengono omesse le misure di sicurezza? Sono a rischio i passeggeri? Chi sono i responsabili della morte? Gli operai vengono ricattati se si lamentano di lavorare in condizioni insicure?  Si parla di morti sul lavoro solo se crolla una palazzina a Barletta e muoiono 5 donne che lavoravano a nero, se crolla il palco di Jovanotti o di Laura Pausini, ma secondo l’Osservatorio indipendente di Bologna dal 1° gennaio di quest’anno ad oggi sono morti 559 lavoratori (oltre mille se si contano gli incidenti sulle strade e gli infortuni in itinere). Chi governa nel corso degli anni si è assicurato alcuni privilegi e buttiamo dalla finestra ogni giorno milioni di euro per: vitalizi, pensioni senza aver mai lavorato grazie a leggi ad hoc come la Legge Mosca, rimborsi elettorali. Dopo oltre quarant’anni di lavoro per Mario Rossi la pensione non c’è, che muoia pure sul lavoro: il processo si prescriverà ed il risparmio sarà assicurato! Severino docet: “Le condanne sono eccessive quando l’incidente è dovuto a scelte imprevedibili dell’infortunato”

Tecnico o politico di professione nessuno lancia la proposta: prescrizione mai per le morti sul lavoro in una Repubblica fondata sul lavoro.

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