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Archive for 3 gennaio 2013

Imprenditori suicidiGiorgio Todisco e Verena Furia sono due imprenditori, il primo nel campo dei distribuori automatici e la seconda nel settore della ristorazione. Le loro attività andavano bene, finchè lo Stato non ha fatto dei pasticci. Riporto uno stralcio delle loro testimonianze contenute nell’ebook Imprenditori suicidi. Il collasso delle imprese italiane

Giorgio: ” Lavoro nel settore dei distributori automatici dal 2000. Ho avuto prima un’esperienza come dipendente poi mi sono appassionato talmente che nel 2006 ho deciso di mettermi in proprio. All’inizio è andato tutto bene, le banche erogavano finanziamenti e leasing nel mio settore per acquistare i distributori che diamo in comodato d’uso gratuito ad aziende, uffici e fabbriche che pagano la consumazione. (…) Le aziende prima hanno cominciato a ridurre il personale e poi dal 2010 sono state costrette a chiudere e questo ha compromesso la mia affidabilità perché i consumi sono calati e non riuscivo a far fronte ai debiti contratti con le banche. Sono rimasto indietro con qualche rata, ho pagato in ritardo, ma comunque le ho saldate. Devo precisare che le tasse, Inps, Inail, sono state tutte corrisposte puntualmente, in quanto noi utilizziamo l’Iva a credito: acquistiamo al 21 percento e rivendiamo al 4. Si crea così un credito che ogni anno lo Stato dovrebbe rimborsarci, ma ogni volta che si fa la richiesta bisogna presentare decine di documenti e sottoporsi a controlli meticolosi, insomma diventa un lavoraccio. (…) Con la crisi del 2011 sono rimasto indietro con tre rate del mio furgone per un totale di 1900 euro. Ho saltato maggio, ottobre e novembre. A gennaio di quest’anno, quando ho fatto il bonifico, è stato rifiutato perché la Iveco finanziaria aveva risolto il contratto. La società di recupero crediti mi aveva contattato e non voleva saperne di dividere in due rate il mio debito. Ho scritto una lettera, li ho supplicati di dilazionarmi i 1900 euro, ma non ho avuto nessuna risposta. Questa è una vergogna perché io ho un credito con lo Stato di ben cinquantamila euro e ho chiesto più volte all’associazione di leasing di avere pazienza. (…) A febbraio ho fatto la richiesta di una parte del credito che vanto con lo Stato, a fine luglio l’Agenzia delle Entrate di Como mi ha detto che hanno perso la mia pratica e ho dovuto ripresentare nuovamente la domanda. I tempi si allungano e io ho bisogno di quei soldi. (…)Oggi potrei salvarmi solo se lo Stato mi rendesse il credito. Sto pressando l’Agenzia delle Entrate perché anche la banca mi ha chiesto di rientrare, avevo un fido di diecimila euro che sono riuscito a dilazionare. Mi avevano promesso che le banche avrebbero anticipato il credito dello Stato: non è assolutamente vero perché con la mia dichiarazione Iva, con la mia fideiussione, che lo Stato ha chiesto sui soldi che mi deve restituire, sono andato in banca e hanno risposto: “Siamo spiacenti”. Una volta erano soldi certi, ora non più.”

Verena: “In realtà non hanno trovato nulla di illecito, a quel punto è scattato l’accertamento induttivo[1], un procedimento davvero demenziale perché porta dove vogliono loro. Tant’è che il loro conto non si basa su dati certi, bensì presunti, l’unico dato certo nel nostro caso sono stati i chili di caffè acquistati. Da quel dato hanno dedotto che a ogni caffè andava attribuito un pasto di 16 euro. Peccato che da noi molti, soprattutto a pranzo, mangiano un piatto solo, nel 2008 spendevano per un pasto medio: circa otto euro. Inoltre nella loro ricostruzione hanno tenuto poco conto che noi siamo anche bar, un caffè somministrato al banco costa novanta centesimi. Dividendo i ricavi della ristorazione per il prezzo stimato del pasto, rimaneva uno scarto di circa 4500 caffè che loro ci hanno attribuito a sedici euro di pasto evaso, quindi a loro risultavano settantaduemila euro di evasione (più autoconsumo e sanzioni). Il mio pensiero è stato: “Se i conti vengono fatti così, a ogni controllo noi risulteremmo evasori, se mi facessero accertamenti per tre anni di fila io chiuderei l’attività”. Avevo novanta giorni per accedere al ricorso e avrei dovuto pagare il 30 percento della sanzione di settantamila euro. Non avendo ventimila euro a disposizione, e nessuno propenso a prestarceli, abbiamo accettato l’accertamento con adesione. Loro hanno rimarcato che avevamo sbagliato a non segnare l’autoconsumo perché se prendo un caffè nel mio bar devo farmi lo scontrino. Io non l’ho mai fatto, devo essere sincera, ma se abbiamo sbagliato paghiamo, anche se trovo assurdo che chi lavora 16/17 ore, debba pagare il caffè come un cliente nel proprio locale. Il commercialista, che nel frattempo abbiamo cambiato, è riuscito a far scendere l’evasione da cinquantottomila euro a quindicimila per maggiori ricavi. Ho detto chiaramente che accettavo di essere additata come evasore solo perché altrimenti avrei messo la mia azienda in grave difficoltà, ma quei quindicimila euro non li ho evasi. La sanzione finale è stata di tredicimila euro. (…) Oggi un imprenditore che lavora onestamente non riesce più a vivere, il carico di spese è enorme, la pressione fiscale a livelli vertiginosi. Io non mi vergogno di dire che con quanto guadagno con il mio lavoro faccio fatica ad arrivare a fine mese. Sono arrivata al punto di tagliarmi i capelli da sola, ho un’auto vecchia e piuttosto malridotta, fatico anche a portare mio figlio a mangiare una pizza. Quando ho intrapreso questo cammino, mai avrei immaginato che fosse un’odissea simile. (…) In Italia viene premiato chi è un ladro e un disonesto. Ad esempio nel mio caso se io avessi evaso, come fanno tanti, 150/200.000 euro, a quest’ora non avrei pagato nemmeno un quarto di quanto evaso. Se vogliamo formare un Paese, se vogliamo essere rispettati nel mondo, dovremmo cominciare a premiare chi lavora bene, chi è onesto e soprattutto le istituzioni dovrebbero avere più rispetto per i cittadini che tutti i giorni si alzano e sfidano le difficoltà per produrre reddito, che serve a mantenere i loro stipendi.

 


[1]              L’accertamento analitico induttivo è regolato dall’articolo 39 comma 1 lett. d). In particolare la lettera d), prevede che, qualora l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicanti nella dichiarazione o nei suoi allegati, risulti dalle ispezioni o verifiche compiute nei confronti del contribuente, e da dati e notizie raccolte dell’ufficio mediante l’esercizio dei suoi poteri ai sensi dell’articolo 32 del DPR n. 600/1973, è prevista la possibilità per l’amministrazione di desumere l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Diversamente l’accertamento induttivo vero e proprio è regolato dal comma 2 dell’articolo 39 del DPR n. 600/1973. In particolare tale norma prevede che in presenza di contabilità inattendibile l’Ufficio può prescindere in tutto ed in parte dalle risultanze contabili e determinare il reddito mediante presunzioni anche non dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

 

 

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