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Grazie Gianroberto

gianrobertoOgni volta che abbiamo parlato avevi qualcosa in testa, mi dispiace di non aver portato a termine l’ultima richiesta: un libro sulla violenza sulle donne, ma non è detto.

Ti sarò grata per sempre, per come hai accolto il mio primo progetto editoriale sugli infortuni sul lavoro. Mi hai fatto recapitare un contratto, senza nemmeno sapere che volto avessi. Resterà l’emozione di aver creduto in me leggendo solo il mio manoscritto in un mondo difficile, dove nella maggior parte dei casi, solo per conoscenza e/o raccomandazione si arriva da qualche parte.

Forse qualche volta hai pensato che fossi un po’ tonta, ma ora te lo posso dire, avevi un tono di voce troppo basso e proprio non ti capivo.

Grazie, resterà in me l’illusione di poter incontrare altre persone che siano in grado di valutare i fatti e non le facce.

Non sono credente, quindi, non so dove già sarai, ma sono convinta che abbiamo perso una mente. Sì, un genio.

Cucchi: familiari Stefano arrivati a piazzale Clodio

Ilaria Cucchi all’esterno della Procura di Roma per incontrare il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, 3 novembre 2014. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

È scandalo la foto del carabiniere indagato per la morte di Stefano Cucchi pubblicata da Ilaria su Facebook. Più fastidiosa della foto di un corpo senza vita e martoriato, dopo essere passato per le mani dello Stato. Più fastidiosa dell’assenza, del vuoto, della solitudine che rimane nelle famiglie colpite da queste vicende. Più fastidioso del fatto che i colpevoli rimangono ai loro posti perché il dirigente chiude un occhio e poi la gente dimentica. Rimangono ai loro posti perché in caso di condanna la pena viene sospesa, come la vita di chi non c’è più.

Di Stefano si disse che forse se l’era meritato, lo disse l’opinione pubblica, influenzata da chi emette sentenze prima di sapere; perché i tre gradi di giudizio valgono solo per alcuni, influenzata da chi cerca sempre un capro espiatorio da proporre alle folle.

L’allora sottosegretario Giovanardi ne era sicuro: “Stefano Cucchi è morto perché anoressico, drogato e sieropositivo”.

Facilmente si potrebbe pensare che i genitori santifichino sempre i figli ma a volte non è così: “Sapere che negli attimi più difficili della sua vita lui possa aver creduto di non avere il nostro sostegno, perché eravamo arrabbiati con lui per aver sbagliato di nuovo, è la cosa che fa più male in assoluto. Se si era avvicinato al mondo della droga era un ragazzo con le sue fragilità. Non sospettavamo che fosse ricaduto nella tossicodipendenza. Forse abbiamo abbassato la guardia, dopo aver avuto molti momenti difficili, non abbiamo riconosciuto i segnali che probabilmente non erano ai livelli passati”. È quanto mi confidò la madre di Stefano che incontrai ed intervistai, per la prima volta insieme ad Ilaria, a pochi mesi dalla morte di Stefano. Pranzammo insieme, vicino al parco degli Acquedotti, non lontani dal luogo in cui iniziò il dramma del loro ragazzo. Le indagini, in quei giorni, erano concentrate sul personale medico e sugli agenti della polizia penitenziaria. Rimasi sorpresa dalla fermezza delle due donne quando il mio collega pose una domanda: “I carabinieri chiamarono l’ambulanza, secondo voi Stefano avrebbe potuto avere un attacco epilettico ed i carabinieri potrebbero essere stati incapaci di gestirlo, a tal punto da scambiare il suo atteggiamento per un puntiglio?” Loro furono certe che i fatti non potevano essere andati così. Eppure incalzai, perché nella sua prima notte trascorsa nella caserma dei carabinieri quando si presentò il medico del 118 Stefano rifiutò di essere visitato. Perché? Il giorno che si svolse il processo per direttissima, all’indomani dell’arresto, il ragazzo aveva già gli zigomi e gli occhi segnati dalle botte, così come raccontato dal papà Giovanni che era presente in aula. Ma le due donne non mostrarono alcun dubbio nei confronti dei Carabinieri, no, perché in fondo avevano, e forse ce l’hanno ancora, fiducia in quell’arma preposta alla sicurezza dei cittadini.

Il dato di fatto è che c’è un abuso di potere alimentato da una politica che mette sempre alla gogna chi delinque, chi è disperato, chi ha un disagio, mentre i colletti bianchi, che hanno impoverito con forme spesso illecite il Paese ed i loro abitanti, continuano a non scontare nulla, anzi, nei rari casi in cui passano per le mani delle forze di polizia, hanno un trattamento migliore.

Dobbiamo ringraziare Ilaria e tutti coloro che hanno avuto coraggio e lo continueranno ad avere, perché la disperazione, lo smarrimento, la delusione, si sono trasformati in punti di forza che li hanno portati a denunciare, a non nascondere quello che non si doveva sapere.

http://www.huffingtonpost.it/samanta-di-persio/stefano-cucchi-e-morto-che-non-si-sappia_b_8921030.html?utm_hp_ref=italy

copertina Quanti sono gli omosessuali in Italia? Ovviamente il numero non è importante per poterli contare, ma per rendersi conto di quante persone non possono vivere serenamente il loro amore e non hanno il riconoscimento di una serie di diritti poiché in Italia è tutto più complicato rispetto al resto d’Europa. Nel libro ci sono le testimonianze di giovani di venti anni e donne e uomini più adulti. Raccontano il conflitto che hanno con loro stessi quando si rendono conto di amare una persona dello stesso sesso. Molti hanno provato a reprimere quell’istinto e hanno attraversato lunghi periodi di sofferenza, fino a quando si sono resi conto che la loro felicità poteva esser raggiunta soltanto esprimendo loro stessi. A questo punto diventa anche più facile tollerare il rifiuto dei genitori, della società, del legislatore, della Chiesa. Dalle testimonianze emerge che un omosessuale potrebbe essere chiunque, un giornalista, un impiegato, un insegnante, eppure c’è ancora una forte componente omofoba nel Paese. Infatti l’omofobia e la transfobia sono il secondo fenomeno discriminatorio subito dopo gli episodi di razzismo. Ad oggi il legislatore è ancora lontano dall’approvare una legge che contrasti tali forme di discriminazione e violenza. Così come è restio a riconoscere le unioni di fatto, i matrimoni e le adozioni per le coppie omosessuali. Molte coppie vanno all’estero per sposarsi, ma poi quel pezzo di carta può esser solo messo in un cassetto oppure incorniciato perché in Italia non ha nessun valore. C’è ancora tanto da lavorare nella società, soprattutto bisogna contrastare il fenomeno dei sucidi fra gli adolescenti, nel libro ci sono gli apporti di esperti (psicologa, insegnati) che vertono a dare consigli sui comportamenti da tenere per genitori e per gli stessi insegnanti per la formazione di nuove generazioni che sappiano accettare le diversità presenti nella società che si evolve perché sono decine di migliaia le coppie omosessuali così come sono oltre 100 mila i figli di coppie omosessuali. È da tanto, troppo, tempo che ci si indigna ogni qualvolta che un’adolescente si toglie la vita perché non può esprimere liberamente il proprio amore, rimaniamo tutti attoniti davanti alla notizia, ma poi tutto ritorna come prima: nessuna legge contro l’omofobia, nessun riconoscimento per le unioni civili. Se ne parla ed è ovviamente un bene, ma è ancora poco parlarne, occorrono dei riconoscimenti da parte del legislatore, le storie che leggerete vi faranno scoprire che gli omosessuali amano, un amore che non fa differenza.

diritto al lavoro Si chiama Legge 183 del 10 dicembre 2014, ma tutti la conoscono come Jobs Act. Quindici articoli che hanno lo scopo di fornire delle linee guida da essere ampliate con Decreti Legislativi, infatti vengono dati pieni poteri al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenza di cura, di vita e di lavoro. Dalle linee guida emerge chiaramente la posizione del legislatore: privare i lavoratori dei loro diritti per i quali sono state fatte tante battaglie sindacali. È vero che le cose cambiano, che le esigenze degli anni ’70 non sono quelle del 2015, ma il lavoro è sempre l’unica fonte di sostentamento dei cittadini, ancora non viene inventato un modo per non pagare il mutuo, per non pagare i libri ai figli, per non pagare le bollette e tutte le altre spese a cui ogni individuo deve far fronte.
Il Jobs Act discrimina i lavoratori. Tutti coloro che vengono assunti o che perdono i lavoro oggi hanno la sfortuna di essere arrivati tardi. Tutele crescenti in base all’anzianità contributiva, ammortizzatori (Naspi) in base alla storia contributiva dei lavoratori significano non essere più possessori di diritti uguali per tutti. L’articolo 3 della Costituzione italiana viene di fatto stracciato, così come viene stracciato l’articolo 2, lo Stato ci sta privando dei diritti inviolabili: di fatto si impedisce ai lavoratori di avere una vita, di formare una famiglia, di progettare il proprio futuro. Sappiamo perfettamente che oggi non vengono concessi mutui con contratti a tempo indeterminato perché non forniscono sufficienti garanzie, figuriamoci con un nuovo contratto che in caso di perdita di lavoro o di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, dopo soli due anni, dà diritto a briciole. Stessa cosa per gli ammortizzatori sociali il requisito di 13 settimane contributive negli ultimi quattro anni o di 18 giorni lavorativi nell’ultimo anno danno diritto a briciole.
Con il Jobs Act si vuole mettere le mani anche sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. L’articolo 4 non lascia spazio a dubbi poiché vengono utilizzate le parole di razionalizzazione e semplificazione per gli adempimenti a carico dei cittadini e delle imprese. L’osservatorio indipendente di Bologna chiude l’anno con 660 infortuni mortali e se vengono contatigli incidenti stradali e in itinere si arriva a 1350. Semplificare la sicurezza, rivedere il regime di sanzioni non ha mai portato nulla di buono, l’unico investimento da fare è sulla prevenzione.
Siamo arrivati a 10 milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà, decine e decine di italiani si sono tolti la vita perché non riescono a trovare un lavoro o perché lo hanno perso, tanti cervelli che fuggono perché qui non hanno nessuna possibilità. Con il Jobs act si finisce di affossare la dignità dei lavoratori. Siamo dei cittadini che non ci stanno, che non vogliono essere privati dei loro diritti e che non vogliono che sia tolto il futuro alle nuove generazioni. Il Jobs Act è incostituzionale e se questo è ancora un Paese democratico non sono i diritti dei lavoratori a dover esser stracciati, ma il Jobs Act. L’unica possibilità che abbiamo è un intervento della Corte Costituzionale per tanto sindacati, partiti, devono ascoltare il nostro appello per presentare un ricorso.

Samanta Di Persio, Marco Bazzoni

firma la petizione https://www.change.org/p/giorgio-napolitano-il-jobs-act-%C3%A8-incostituzionale-bisogna-stracciarlo

omoVorrei premettere qual è l’obiettivo di questi pensieri “ad alta voce”, a scanso di equivoci. Non esprimerò nel dettaglio un mio parere sull’opportunità o sulla modalità di soluzioni legislative circa il matrimonio tra persone omosessuali o l’adozione dei bambini da parte di coppie gay. Ritengo che sia un terreno molto complesso e molto delicato, per affrontare il quale servono competenze, che io non ritengo di avere (forse è la deformazione professionale di un ricercatore universitario…). La mia riflessione è piuttosto su un metodo e su uno stile da ricreare nel dibattito, anche interno alla stessa Chiesa, e poi tra cattolici e laici. Un lavoro di zappatura, insomma, un po’ come fa il contadino che prepara la terra prima di seminare. Temo, invece,che voler seminare senza preoccuparsi della qualità del terreno e della sua disponibilità ad accogliere il seme non porti frutti particolarmente abbondanti e buoni.. Per questo, alla luce dell’esperienza personale e di qualche riflessione sull’argomento, queste righe nascono dalla mia preoccupazione di cattolico che vorrebbe rendere ragione della speranza che lo abita: della speranza, appunto, non della paura, che spesso invece sembra impregnare le parole e le azioni dei “cattolici” di questo benedetto Paese.

Qualche anno fa, mentre preparavo la tavola dopo aver pranzato insieme ad un prete che viveva nella stessa casa dove vivevo io – un prete addidato da molti come “comunista” perché….si occupavacon passione, come fa ancora oggi, delle persone affette da disagio e malattia psichica, e perché cercava di pensare con la propria testa alla luce del Vangelo e dei fatti della storia –con quel prete ascoltammo un servizio al TG2 in cui veniva fatto il resoconto di una manifestazione “cattolica” contro la prospettiva di una legittimazione civile delle unioni omosessuali. Finito il servizio, quell’amico prete “pericoloso”, dopo aver scosso la testa, se ne uscì con questa affermazione perentoria: «La cosa assurda è che questi cattolici manifestano contro i gay non si rendono conto che la Chiesa si salverà dall’estinzione proprio grazie ai credenti omosessuali!».
Lì per lì la presi con un sorriso e bollai quell’espressione come appartenente al genere letterario della provocazione.
Avevo già avuto la fortuna di conoscere persone omosessuali, e ne ho conosciute molte altre anche dopo quel fatto. Con alcuni c’è un’amicizia stupenda.Dagli incontri fatti nella mia vita ho imparato che ogni storia, ogni vita, ha una sua originalità che nessuno può semplicemente catalogare in base alle sue espressioni esteriori e visibili. L’orientamento sessuale di ognuno di noi ha radici e sviluppi a cui non è possibile risalire in maniera troppo semplificatoria. L’impasto di natura, di cultura e di storia di cui ognuno di noi è fatto non si può ridurre in “cataloghi”. Io non ho competenze particolari per esprimermi in una questione del genere nei suoi profili biologici, psicologici, educativi, giuridici… L’unica “competenza” che ho acquisito in questi anni, anche e soprattutto grazie al mio servizio volontario in carcere, è quella dell’“a tu per tu” con le persone sempre più libero dal pregiudizio (anche se liberarsi davvero del pregiudizio è l’impresa della vita!).
Mi hanno sempre infastidito le etichette. Come quel giorno che, camminando insieme ad altri tre preti su via Nazionale, a Roma, riconosciuti per il colletto, venimmo indicati da un gruppetto di adulti così: “guarda che bel gruppo di pedofili a piede libero”. Quando patisci il dito puntato altrui solo perché risulti appartenente ad una “categoria”, senti la ferita di un’ingiustizia profonda, perché nessuno coincide con alcuna categoria. Ogni storia, ogni nome, ha un valore sacro, che tantomeno l’appartenenza ad una “categoria”, sia essa sociale, professionale, religiosa o legata a un orientamento sessuale, può diminuire.
Il giorno in cui potremo dire di aver “scontato” (si potrà mai arrivare davvero a farlo?) tutta la sofferenza che abbiamo creato per aver puntato il dito contro gli altri, per le discriminazioni alle quali, in nome di “valori non negoziabili” (!!!), abbiamo condannato le persone per una loro condizione di vita, allora – forse –quel giorno potremo tornare a dialogare con maggior credibilità e rispetto sulle questioni che ci stanno a cuore e che riteniamo importanti per il bene di una comunità. Ma c’è metodo e metodo, c’è stile e stile nell’affrontare la questione dei diritti. Sia nel chiederli, sia nell’accogliere o respingere la richiesta.
Ho l’impressione che il delicato tema dei diritti civili per le persone e coppie omosessuali (tutele sulla convivenza, forma giuridica della loro unione, adozione dei figli…) non possa essere affrontato a prescindere da un metodo che è ancora tutto da recuperare. Penso, da cattolico, che su questo punto la pedagogia di Gesù di Nazareth abbia molto da insegnare ai cristiani benpensanti, tra i quali – e mi ci metto anch’io – si può annidare la versione contemporanea di quella farisaica presunzione di essere dalla parte giusta, che faceva perdere la pazienza allo stesso Gesù. Gesù cercava le persone, non i loro orientamenti, non le loro idee, non le loro convinzioni. Ricordo soprattutto quell’incontro con la donna samaritana, che gli ebrei discriminavano e chiamavano “cane” e che lo stesso Gesù sembrò inizialmente trattare male, con pregiudizio. Ma lei fece il suo bel “SamaritanPride” (mi si perdoni l’ironico accostamento, ma si rilegga la faccia tosta di questa donna nell’ostentare il suo diritto a essere ascoltata in Mt 15, 21-28!!) e Gesù si lasciò cambiare da questa donna “diversa” e “spudorata”, e di fatto diventò diverso pure lui. È stato abbattuto un muro nel cuore di entrambi.
Perché dall’incontro con l’altro si cambia in due, non uno solo dei due. Credo fosse questo quello che intendeva dire quel mio amico prete quando sostenne che la Chiesa sarà “salvata” dai gay:solo dall’incontro autentico e non pregiudiziale nasce la possibilità di esistere. Solamente il cercare, l’incontrare e lo stare con le persone, apre la via di accesso alla cosiddetta “verità”. Una Chiesa che pretendesse di voler incontrare gli altri solo per cambiarli, sarebbe una Chiesa che tradisce la sua stessa storia, la sua stessa natura. Una Chiesa che invece incontra gli altri per ri-formare prima di tutto se stessa sarà invece una Chiesa che comunicherà la verità dell’Amore che le è stato affidato con sempre meno ipocrisia ed arroganza. Questo non vuol dire affatto “piegarsi all’andazzo della cultura”, non è uno scendere a compromessi. È sentirsi mai arrivati. È sapersi in crescita continua, «fino alla misura della pienezza di Cristo» (Ef 4, 16). Confidando che sia proprio il chicco di grano che, caduto in terra, sa morire alla propria presunzione di essere già spiga, a farlo effettivamente maturare ed essere ciò per cui è stato seminato.
È la stessa fede cristiana che consegna ai cattolici il principio stesso della laicità: credono (o dicono di credere..), infatti, in un Dio che, scegliendo di farsi uomo, ha legato definitivamente la sua verità all’affermazione della dignità e del diritto di ogni persona di esistere e di vivere la propria situazione, nel rispetto delle altre situazioni di vita. Anche la passione civile dei cristiani dovrebbe essere quella di portare a pienezza il godimento dei diritti civili personali, pur sempre entro l’orizzonte di un patto comunitario senza il quale la vita sociale sarebbe “una selva oscura”. Solo nella libertà effettiva del diritto può nascere un dialogo costruttivo e anche critico, perché no, circa alcune questioni specifiche, come quella della forma giuridica di un patto di convivenza che sia rispettoso della realtà. “Matrimonio”, ad esempio, ha inscritto nella sua stessa etimologia il riferimento ad una relazione uomo-donna aperta alla generazione. Sarebbe, per questo,un “vestito” fuori misura per una coppia omosessuale, il cui amore e il cui desiderio di impegno reciproco merita invece di vedersi riconosciuto un diritto e una tutela con un istituto proprio, non “meno” importante. Qualcuno dirà che è solo una questione di nomi. No, è una questione di identità, visto che il dare il nome a qualcosa di nuovo significa dargli identità e possibilità di fare storia.
Ma a questo si arriva se c’è stile anche nel pensare. E questa non è una qualità che va facilmente a braccetto con la sola manifestazione di un “Pride” di parte. E lo dico da cattolico, infastidito dei vari “pride” confessionali con cui si dimostrano idee chiare, ma poco stile. E lo stile fa la differenza.

Marco Di Benedetto

10731074_10152356288987541_6168583676278785191_nJu tarramutu lo scrissi durante i mesi di luglio e agosto del 2009, i ricordi erano vivi, freschi e ancora dolorosi. Lo dedicai a tutte le vittime e a tutti coloro feriti dal sisma nel corpo e nel cuore… dopo la sentenza di assoluzione dei componenti della Commissione Grandi Rischi le ferite saranno sempre più grandi: piangevano tutte le madri degli studenti e delle studentesse, dei giovani, dei bambini, così come i padri, le sorelle ed i fratelli, ma anche gli aquilani presenti perché la giustizia non esiste, almeno per il popolo. Leggendo dei post qua e là, sembra che ad un certo punto gli aquilani vogliano trovare un capro espiatorio, che vogliono per forza un responsabile, ma chi non l’ha vissuto sulla propria pelle, non può capire. Riporto anche testimonianze:
Giustino Parisse, vi caporedattore del Centro, il quotidiano d’Abruzzo, è la risposta alla sentenza, ed è stata scritta ben cinque anni e mezzo fa: “Aspettavamo il risultato della riunione del 31 marzo con la commissione Grandi rischi, il sindaco, gli assessori. Il giornale aveva preparato un paginone con il numero delle scosse, l’intensità, quando e dove c’erano state. Loro dissero: “E’ tutto a posto!”. Ora si scoprono le varie faglie, compresa quella di Paganica che non era stata studiata molto. Gli esperti dovevano dire che questo sciame sismico può presupporre una forte scossa. Se state in una casa in cemento armato: potete stare abbastanza tranquilli; in una casa in pietre: fate attenzione. Se io fossi stato messo in allarme in quel modo, forse mi sarebbe venuto in mente di uscire fuori, di dormire in auto. Come operatore dell’informazione venivo informato male, e di conseguenza informavo male. Il paradosso è che la prima vittima sono stato io.” Oggi in molti commentano che la scienza non si può condannare, ma se oltre centomila cittadini aspettavano una risposta dagli esperti per capire come comportarsi e molte persone sono morte nei loro letti poiché rassicurati da chi ne capisce di terremoti, possibile che è giusto che non ci siano responsabili? Proprio a L’Aquila dove i terremoti nel corso della storia hanno distrutto la città tre volte. La riunione -è scritto nel verbale- dura 60 minuti. Prende la parola il professor Boschi: “Escluderei che lo sciame sismico sia preliminare di eventi (…) – anche se spiega – siamo in una zona sismica attiva. Nell’area abruzzese registriamo circa 800 scosse l’anno. Ma i terremoti non si possono prevedere, si possono solo prevenire”. Interviene poi Barberi: “Gli sciami tendono ad avere la stessa magnitudo ed è molto improbabile che nello stesso sciame la magnitudo cresca (…) Noi rappresentiamo la situazione scientifica”. Prende la parola la Stati, assessore regionale: “Noi, io e il sindaco, dobbiamo anche dare risposte politiche. Quello che vogliamo sapere è se dobbiamo dare retta a chi vai in giro a creare allarmismo (il riferimento è a Giuliani, ndr)”. Risponde Barberi: “Non c’è nessuno strumento che possa avvisarci che ci sarà un terremoto. Non vale la pena che la Commissione Grandi Rischi discuta di questo. (…) Questa sequenza sismica non preannuncia niente, ma sicuramente focalizza di nuovo l’attenzione su una zona sismogenetica in cui prima o poi un grosso terremoto ci sarà”. L’assessore Stati ringrazia: “Queste vostre affermazioni mi permettono di andare a rassicurare la popolazione”. In chiusura interviene il prof. Mauro Dolce (responsabile ufficio sismico) che raccomanda che i tecnici in fase di sopralluogo prestino attenzione non tanto agli elementi strutturali, che quasi sicuramente, non dovrebbero essere danneggiati, quanto alle strutture di completamento quali controsoffitti, rivestimenti, comignoli, cornicioni, balconi (etc)”. La riunione si conclude alle 19.30, con una conferenza stampa, dove De Bernardinis è ancora più esplicito: “La comunità scientifica conferma che non c’è pericolo, perché c’è uno scarico continuo di energia; la situazione è favorevole. Questa vicenda deve insegnare due cose: convivere con territori fatti in questo modo, cioè a rischio sismico; mantenere uno stato di attenzione, senza avere uno stato di ansia“.
Cinque giorni dopo, la tragedia degli innocenti. Queste sono le persone a cui abbiamo affidato e affidiamo la nostra sicurezza, le nostre vite e quelle dei nostri figli, a persone nulla hanno fatto per evitare o ridurre una catastrofe che non il terremoto ha procurato essendo un fenomeno naturale, ma l’incuria degli uomini che speculano e da chi ci governa.
Il fisico Gaetano De Luca aveva raccontato: “Negli anni ’90 il Prof. Franco Berberi diventò sottosegretario alla Protezione civile. Il 27 settembre 1997, la notte ci fu una scossa in Umbria. In televisione lui dichiarò: “State tranquilli, il peggio è passato, tornate nelle case.” La mattina seguente ci fu una seconda scossa. Morirono dei frati che stavano accompagnando tecnici della Protezione civile per valutare i danni dell’Abbazia di Assisi e soprattutto per il controllo di stazioni accelerometriche installate all’interno dell’edificio. Se fosse stato un ministro giapponese, dopo quanto accaduto si sarebbe suicidato. Se fosse stato un ministro degli Stati Uniti sarebbe stato messo in galera, e da qui avrebbe dovuto dare molteplici spiegazioni! In Italia Franco Barberi diventa Presidente della Commissione grandi rischi ed il 31 marzo ce lo ritroviamo a L’Aquila a ribadire: “State tranquilli è una sismicità normale!” Qualcuno mi deve spiegare com’è possibile?
Antonio Moretti, geologo e professore presso l’università degli studi L’Aquila, dichiarò: “Torniamo a qualche giorno prima… dopo tanti mesi di scosse tutti avevamo, è il caso di dirlo, i “nervi a pezzi”, e vari delinquenti e pseudo-scienziati lanciavano allarmi ingiustificati o vantavano invenzioni miracolose offerte in vendita a cifre con molti zeri (in euro..). In questo clima di insicurezza ed allarme sociale, la commissione grandi rischi è stata convocata dal Prefetto (che guarda caso è cambiato proprio la notte del 6..), proprio per problemi di ordine pubblico. Arrivò Franco Barberi (mio ex professore di vulcanologia), Enzo Boschi ex Presidente dell’Ingv (un geofisico), Claudio Eva un eccellente sismologo che gestisce la rete del Piemonte (dove non ci sono terremoti) e poi altri… i quali alla domanda: “Sono giustificati gli allarmi di Giuliani che prevede un terremoto a breve termine?” hanno risposto, correttamente: “No”. Il prefetto in base a queste risposte ha ritenuto opportuno diramare la notizia: “Va tutto bene, tornate pure nelle vostre case!” . Invece se non si può dire con certezza che verrà un terremoto, a maggior ragione non si può dire nemmeno il contrario. Le mappe di pericolosità sismica pubblicate da decenni dall’INGV (di cui Enzo Boschi è il Presidente) e disponibili per tutti sul sito internet, mettono L’Aquila a rischio massimo. Bastava guardare… Ma in Italia nessuno vuole prendersi le responsabilità

la-morte-di-rasmanIl Presidente del Senato Pietro Grasso è intervenuto dopo l’assoluzione di tutti gli imputati nel caso di Stefano Cucchi ed ha dichiarato: “Vorrei fare un appello. Ci sono dei rappresentanti delle Istituzioni che sono certamente coinvolti in questo caso. Quindi, chi sa parli. Che si abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, perché lo Stato non può sopportare una violenza impunita di questo tipo” Sono parole condivisibili, ma non bastano. Un uomo delle istituzioni, un uomo che ha ricoperto il ruolo di magistrato dovrebbe fare di più: dovrebbe ricordare che le vittime nelle mani delle forze di polizia sono state diverse ed ogni volta ha vinto l’impunità. Ha vinto l’impunità anche quando ci sono state delle condanne: Bolzaneto insegna, Diaz insegna, Federico Aldrovandi insegna, Riccardo Rasman insegna. Ci sono tanti casi in cui non si è archiviato come suicidio: Niki Aprile Gatti insegna, Stefano Frapporti insegna, Katiuscia Favero insegna. Casi in cui le verità sono parziali: Aldo Bianzino insegna. Tanti altri casi per i quali ancora non si concludono tutti i gradi di giudizio: Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Riccardo Magherini e tanti altri.
federicoLa Costituzione garantisce la tutela del corpo, la salvaguardia del diritto alla vita, se ci sono tante morti sospette nei luoghi dove dovrebbe esserci la massima tutela, qualcosa non va. Quello che non va l’ha spiegato Haidi Giuliani nel libro “La pena di morte italiana” che nel corso di questi anni ha incontrato tanti uomini in divisa che si sono scusati, ma nessuno ha fatto nomi, c’è un velo di omertà spaventoso che non fa altro che danneggiare gli stessi corpi di polizia perchè molte persone così facendo hanno pregiudizi.
giuseppe uvaBen venga la proposta di legge del senatore Marco Scibona per identificare con numeri le forze di polizia che esercitano funzioni di ordine pubblico, ma non basta. Occorre introdurre il reato di tortura, occorrono pene più severe per chi presta giuramento sulla Costituzione e sulle leggi italiane, occorrono meno omertà e meno coperture dai vertici.

aluvionedal libro “Imprenditori suicidi” “Cosa devo fare?” credo che sia l’interrogativo, il pensiero più ricorrente nella mente di un piccolo imprenditore che nel corso del tempo è stato lasciato solo dallo Stato e dalle associazioni di categoria. Se ci fosse una classe dirigente risolutiva, non perderebbe tempo a fare proclami ogni giorno, ma si impegnerebbe per cercare una soluzione. Sul sito di Imprese che Resistono il 4 aprile 2012 un imprenditore alluvionato scrive una lettera in cui descrive il suo stato d’animo:”Da più di un anno passo da momenti di euforia ad altri di depressione profonda. La solitudine, la vergogna, la stanchezza, le notti insonni, la delusione delle promesse mancate, ti portano a non vedere più vie di uscita. Quando pensi che i tuoi finanziamenti sono assicurati e quindi la tua morte sarebbe una soluzione per non trascinare la tua famiglia in questo vortice che ogni giorno diventa sempre più grande, e allo stesso tempo non hai il coraggio di guardare i tuoi figli negli occhi quando gli dici che non potrà partecipare alla gita scolastica, che non riesci a sostenere la loro più piccola esigenza, la testa inizia a viaggiare e la più assurda soluzione diventa come la più sensata. A tal motivo, ho ritenuto opportuno raccontargli la mia storia ed alla situazione drammatica a cui sono arrivato, nel tentativo di tenere aperta la mia azienda. Sono titolare dal 2007 della ditta individuale “Scano Giorgio” e dall’aprile 2010, della S.r.l. Giosca forniture, operanti nella vendita all’ingrosso di: carta, plastica, detergenza ecc..
A seguito dell’alluvione che ha colpito Sestri Ponente il 4 ottobre 2010, a pochi giorni dall’inaugurazione del nuovo magazzino e punto vendita che avevo deciso di aprire per assumere una dimensione che mi permettesse di portare in attivo il bilancio, ho subito un grave danno alle mie aziende. Mi sono rivolto prima alla CA.RI.GE. ed al BANCO DI SAN GIORGIO per usufruire dei finanziamenti di aiuto alle imprese predisposti dalla Regione, essendo gli unici istituti ad aver aderito all’iniziativa. Il finanziamento in questione mi è stato negato, a voce mi hanno fatto presente che le mie garanzie erano insufficienti, benché fosse stato già approvato dai confidi e la garanzia della regione andasse a coprire il rischio restante. Benché avessi fatto presente da subito al presidente della regione e agli assessori della mia assenza di garanzie personali e della mia intenzione di chiudere e portare i libri in tribunale, sono stato rassicurato con promesse di finanziamenti dove la regione stessa avrebbe messo le garanzie. Le cose non sono andate così ed il risultato è che avendoci creduto mi sono rovinato.
Riflettendo su gli avvenimenti posso affermare che il post alluvione mi ha fatto più danni dell’alluvione stessa. Il 5 ottobre mi sarebbero bastati 10.000/15.000 euro per riavviarmi o meno di 50.000 per chiudere, oggi non so se me ne basteranno 150.000.
Ho avuto un aiuto iniziale da parte della Regione che mi dato la possibilità di spostare la sede della ditta in un magazzino al Bic Liguria. Ma gli aiuti a metà non servono, anzi peggiorano la situazione. È come aiutare una vecchietta ad attraversare la strada e lasciarla a metà dove può passare un tir.”

rovigoQuattro operai muoiono intossicati da sostanze chimiche. Questo è il titolo dei giornali. E poi l’aggiunta si tratterebbe di errore umano, per fortuna il procuratore, in prima battuta, ha dichiarato: “Non sono state rispettate le norme di sicurezza”. Le vittime sono Nicolò Bellato, 28 anni, Paolo Valesella, 53, Marco Berti, 47 e Giuseppe Valdan, 47. Padri, figli che non tornano a casa mentre per la politica il lavoro sembrerebbe essere solo: bonus di 80 euro, facilità di licenziamenti. Se si muore sul lavoro non servono questi accorgimenti: serve una vera politica volta alla prevenzione degli infortuni, della salute nei luoghi di lavoro. Carlo Soricelli scrive sul suo blog sono 471 i morti per infortuni sui luoghi di lavoro dall’inizio dell’anno +6,8 % rispetto allo stesso giorno del 2013. Non si muore solo in una ditta che si occupa di rifiuti speciali. È già accaduto all’Ilva perché si cade da una impalcatura, perché si respirano sostanze tossiche, si muore nei campi per ribaltamento del trattore, si muore in fabbrica perché un muletto ti schiaccia, si muore nelle cisterne per aver respirato esano, si muore in ferrovia, si muore mentre si effettuano lavori di manutenzione delle strade, delle metropolitane, di tutto ciò che ci circonda, si muore nell’edilizia, si muore per strada. La sicurezza è solo un costo, una percentuale da inserire negli appalti, poi di fatto la si può non rispettare. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si mostra dispiaciuto, come nel 2007 di fronte alla tragedia della ThissenKrupp. Di cosa si devono accontentare gli orfani, le vedove? Di parole? Dobbiamo essere contenti che ci siano almeno quelle? Non basta, il dolore non si placa con il tempo, anzi, ad ogni infortunio mortale torna a farsi vivo, così come torna la rabbia perché passano gli anni e non cambia nulla. Ecco qualche commento di chi ha perso un familiare. Patrizia Perduno: “Figli che crescono senza il papà? Madri addolorate per il resto della loro vita? …È già accaduto! Silvio Murri. ILVA 2004” Valeria Parrini Toffolutti ha perso il figlio: “Ruggero Toffolutti, 17 marzo 1998 – Magona di Piombino. E troppi, troppi altri”
Daremo l’ennesima medaglia, un mazzo di fiori e tante condoglianze o c’è ancora speranza che qualcosa si possa fare?

raee_rifiuti_elettronici--400x300Domenica sera, dopo una bella cena fra amici e parenti, mi accorgo che la lavastoviglie Ariston Hotpoint (venduta come qualità media) ha un problema: lo sportello si apre di scarsi 10 cm e poi si blocca. L’elettrodomestico ha solo 7 mesi di vita ed è in garanzia. L’indomani alle 10 effettuo la prima chiamata. L’operatore mi dice di fare un numero verde per l’assistenza, invece una voce metallica spiega a chiare lettere che per poterla richiedere c’è da fare un 199, quindi a pagamento: sono scarsi 50 centesimi al minuto con 15 centesimi di scatto alla risposta. Sono consapevole di avere poco credito, ma mi sono detta: “Se l’operatore è veloce dovrei farcela“. Invece più di un euro se ne va per ascoltare un’altra registrazione: “I nostri operatori sono occupati”. Ricarico 10 euro e ancora speranzosa richiamo. Il solito ritornello: “I nostri operatori sono occupati. Rimanga in linea per non perdere la priorità acquisita”. Invece l’unica cosa che si perde è la pazienza, dopo circa 5 minuti che non avviene la risposta (alla modica cifra di euro 1,80 circa) siccome si è atteso tanto si invita a lasciare il proprio numero dopo il segnale acustico per essere richiamati. Lascio il numero e dopo verifico sul sito della Indesit è se è possibile inviare una mail, è possibile la mando ed attendo ancora. Alle 14 ancora non chiama nessuno e tanto meno qualcuno ha risposto alla mia mail. Riprovo a chiamare l’199 e dopo un minuto qualcuno risponde. L’operatrice non sembra molto esperta, mi rivolge più volte le stesse domande, le do il mio numero di telefono, poi la via, lei dice di non capire.. ad un certo punto cade la linea ed io ho speso euro 1,53. Attendo qualche minuto nessuno richiama. Tocca a me ricontattarli ed ora le linee sono nuovamente occupate, spendo altri scarsi due euro per non avere risposta. Richiamo immediatamente e dopo un minuto di attesa risponde un’altra operatrice dalla voce squillante, mi rincuoro perché forse ho speranze. La sua collega aveva avviato la pratica, dal mio numero di telefono riesce a trovarla: aveva sbagliato il cognome ed il comune di residenza. Quest’operatrice è più svelta, ma comunque tende a perdere tempo, nonostante le dica che ho speso 10 euro per parlare con loro e non ho credito, cerca di allungare la conversazione. La saluto anche sgarbatamente perché non posso aspettare che mi restringa l’orario di appuntamento le dico: “Va benissimo dalle 9:00 alle 13.30.” Alla luce di quest’episodio mi rendo conto che l’assistenza gratuita è solo un’utopia. La mia curiosità va oltre e mi chiedo se all’estero l’assistenza si paga. Per l’Italia c’è un’informazione parziale perché l’asterisco riporta che la telefonata è a pagamento 0,14 centesimi al minuto da telefono fisso, non c’è menzione del costo differente se si chiama da cellulare. In Russia chi chiama da rete fissa non paga, in Spagna la chiamata costa 0,0673 più Iva al 21 per cento arriviamo a 0,0805 centesimi, in Polonia da rete fissa è gratuito, in Inghilterra c’è scritto sul sito: “Le chiamate verso i numeri 0844 costano 5p al minuto da rete fissa BT , mobili ed altre reti potrebbero variare”. Come al solito l’Italia è carente nelle informazioni verso il cliente, l’importante è che paghi, poi il resto lo si affida alla sorte.