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Archive for settembre 2011

Federico aveva diciotto anni e tutta una vita davanti.
Una gran voglia di «spaccare il mondo». Era il 24 settembre
2005. La mattina a scuola e poi tutto il pomeriggio
passato con il pensiero della sera in discoteca.
Forse una pasticca, un po’ di alcol per sballarsi per restare
tutta la domenica a letto. Come fanno purtroppo
tanti suoi coetanei. Al rientro, verso le cinque del
mattino, si fece lasciare vicino all’ippodromo di Ferrara,
voleva fare due passi a piedi per rilassarsi, per
smaltire forse un po’ la sbornia. Sicuramente euforico,
forse cantava e barcollava ed era solo.
Una donna lo notò, spaventata chiamò la polizia.
Arrivarono degli agenti. Chiesero i documenti al ragazzo
che non li aveva con sé. Lo fermarono alle
5:47. Alle 6:10 arrivò una chiamata al 118, per quel
ragazzo «strano». Quando l’ambulanza giunse sul
luogo, Federico era già morto.
Per i giornali era morto di overdose, era un albanese,
erano stati i suoi amici a investirlo. Invece si
trattava di Federico Aldrovandi, studente diciottenne
di Ferrara, incensurato e senza nessun’arma.
Quella mattina i genitori erano preoccupati perché
Federico avvisava sempre in caso di contrattempi.
Allora lo chiamarono. Non ricevettero risposta.
Dopo vari tentativi qualcuno rispose dicendo che
aveva trovato il cellulare. Solo alle 11 Patrizia e Lino
verranno a sapere della tragedia.
All’obitorio trovarono Federico con il viso sfigurato,
il sangue alla bocca e un’ecchimosi all’occhio destro.
In loro sorsero dei dubbi. Poi si verrà a sapere di
due ferite lacero-contuse dietro la testa, dello scroto
schiacciato e di due petecchie – due lividi da compressione
– sul collo. Pestato, pestato e poi pestato.
La polizia lo avrebbe descritto come imbufalito,
una vera furia. Quattro agenti, fra cui una donna,
contro un adolescente che secondo loro avrebbe voluto
farsi del male da solo. Sbatteva la testa sul muro,
ma non saranno mai trovate tracce di sangue altrove,
se non per terra e sui vestiti indossati dal ragazzo. Per
tutti, il giorno dopo era un ragazzo morto su una
panchina per overdose. Dall’autopsia non è risultato
che avesse ingerito sostanze tossiche così forti da
provocare un’overdose. Comunque, l’autopsia venne
ritardata.
Quattro agenti di polizia risultarono feriti, ma non
si fecero ricoverare. Un manganello si ruppe, ma per
il questore si trattò di una disgrazia. Qualcuno vide
Federico immobilizzato, a terra. Un agente gli puntava
un ginocchio sulla schiena e un manganello sotto
la gola, mentre con l’altra mano gli tirava i capelli.
Il ragazzo sussultava, faceva salti di mezzo metro. Al
suo fianco, una poliziotta si sarebbe vantata: «L’ho tirato
giù io, ’sto stronzo!».
I quattro poliziotti autori del fermo e del pestaggio
oggi sono stati condannati, grazie alla tenacia e al
coraggio della famiglia. Patrizia Moretti, la madre di
Federico, è stata querelata più volte per aver rilasciato
dichiarazioni su cosa stava accadendo: omissioni,
depistaggi, che poi hanno portato alla condanna degli
agenti e di altri collaboratori.

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Da studente ho sempre pensato che scioperare post mortem di un diritto non servisse a nulla o comunque a poco; invece di sfilare per la città, rimanevo a casa a ripassare per l’interrogazione da sola o con chi condivideva la mia teoria. Sono trascorsi un bel po’ di anni ed i motivi per cui si va a manifestare in piazza sono altri: l’Italia non è semplicemente morta, è affossata, ha raggiunto il nucleo della terra, risalire da lì non sarebbe possibile nemmeno per Reinhold Messner. Riusciamo a liberarci facilmente di fidanzati/e mariti/mogli ai quali almeno una volta abbiamo detto: “Ti amerò per sempre” oppure se li sopportiamo ancora, vediamo tutti i difetti e forse due pregi. Maggioranza ed opposizione hanno banchettato per diciassette anni, i primi non hanno mai trovato nemmeno un capello fuori posto al padrone, i secondi hanno trovato talmente pochi difetti, che hanno preferito stare incollati alle remunerate poltrone, con tanto di ventose. Continuano a distrarci con il gossip in programmi condotti da chi ha preso 10 e lode nel lettone del Premier, per molti italioti è diventata un’esigenza sapere il colore delle mutande del colpevole di uno dei tanti delitti efferati. Questa è una classe dirigente, politica e sindacale, che non può nemmeno essere paragonata al letame, perché il letame fertilizza. Bisogna finalmente mandare a casa i responsabili del fallimento politico e dell’impoverimento del Paese. I genitori non dormono notti per trovare le parole giuste per dire ai loro figli che quest’anno a scuola andranno con i libri fotocopiati. I lavoratori licenziati non ce la fanno nemmeno a tornare a casa, si suicidano in azienda. I disoccupati fanno i conti in tasca dei loro risparmi. Quelli che lavorano non sono tranquilli per niente.

Hanno distrutto i nostri territori per propagande elettorali, per patti fra cricche : Val di Susa, L’Aquila, Napoli, Lampedusa, Messina, La Maddalena…

Si sono presi perfino i pensieri, nessuno è in grado di progettare il futuro. Il 15 ottobre a Roma è un’occasione importante per dimostrare quanti ne siamo e soprattutto che siamo determinati, il prezzo che stiamo pagando è troppo alto. QUE SE VAYAN TODOS, non vogliamo nemmeno i loro figli!

su facebook è possibile seguire l\’evoluzione dell\’evento

La cittadina Samanta Di Persio

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Dal 2006 ho cominciato a fare ricerche per poter scrivere il primo libro Morti bianche. Pensavo che il sindacato fosse il mio principale link per poter intervistare lavoratori e familiari, mi sbagliavo di grosso. Nella pagina dei ringraziamenti sono menzionati tutti quelli che mi hanno fornito materiale o messo in contatto con i testimoni, basta una mano per aiutarsi nei conti (sic!). Scrissi una mail a tutte le sedi Cgil non mi rispose nessuno, quando andai a L’Aquila, la città dove vivo, incontrai la segretaria della Fillea, non le dissi che stavo scrivendo un libro, mi finsi studentessa, la sua risposta fu: “Vai all’Inail” Incominciava la mia mutazione in palla da flipper. Ero contrastata fra due sensazioni: smarrimento e presa di coscienza. La seconda mi spaventava, per fortuna incontrai esponenti di sindacati autorganizzati, la maggior parte provenienti da sindacati di base. Un altro incontro fortunato fu quello con il dottor Luigi Carpentiero di Medicina Democratica. Mi parlò di un fenomeno diffusissimo sul lavoro: il mobbing. Cominciai a fare contemporaneamente due ricerche: infortuni sul lavoro e mobbing. Nel codice penale italiano il mobbing non è previsto come un reato, per questo il lavoratore che incappa in vessazioni sul luogo di lavoro, può soltanto intraprendere una causa civile e chiedere il risarcimento del danno. Fino a che il lavoratore mobbizzato non si ammala di mobbing, la tutela in ambito penalistico non può essere applicata perché è difficile dimostrare il nesso di casualità.  Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare spontaneamente il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento, per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali. Tali comportamenti si verificano sia nel pubblico impiego che nel privato. Secondo l’Inail, che per prima in Italia ha definito il mobbing lavorativo qualificandolo come costrittività organizzativa, le possibili azioni traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dalla attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi o degli strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici, l’impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie, la inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, l’esclusione reiterata da iniziative formative, il controllo esasperato ed eccessivo. Nella violenza attuata con la strategia delle sistemiche vessazioni morali, per un desiderio di onnipotenza, talvolta inconsciamente, di processi perversi che incatenano psicologicamente le vittime e impediscono loro di reagire. Questi stessi comportamenti, vere e proprie macchinazioni preparate per ingannare, mortificare ed indurre la vittima a fare un passo falso, sono classificabili in sei raggruppamenti: rifiuto della comunicazione diretta, svalutazione e squalifica della professionalità, discredito della persona, isolamento, oppressione mediante angherie, indirizzamento dell’altro all’errore. Ho raccolto molte testimonianze, persone demotivate, svuotate dell’identità, sull’orlo del suicidio, ma grazie ai pochi strumenti che li tutelano dopo vent’anni hanno vinto cause, dopo anni ce l’hanno ancora in piedi e sperano di poter avere un epilogo positivo. Se il governo Berlusconi, la favola del milione di posti di lavoro, (dal 1994 abbiamo perso milioni di lavoratori) concede la possibilità di poter licenziare in deroga all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, di fatto significa poter licenziare indiscriminatamente. In molte realtà aziendali esistono dei veri e propri reparti confino, a questo punto non hanno più motivo di esistere. Ancora una volta, in culo ai lavoratori!

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Ansa ROMA – 30 agosto 2011. Un operaio di 35 anni di Orsogna, Massimiliano Bucci, è morto in un incidente sul lavoro avvenuto queso pomeriggio nello stabilimento di Ortona (Chieti) del pastificio De Cecco. L’uomo sarebbe stato schiacciato da una pressa. Sulla vicenda sono in corso accertamenti dei carabinieri.

Quotidiano “Il centro” 31 agosto 2011. Dalla prima pagina – Incidente a Ortona. Operaio Muore nel pastificio De Cecco. In cronaca. Un pagina dedicata alla tragedia. Muore sotto la pressa alla De Cecco. ortona, aveva 39 anni e lavorava nel settore confezionamento. (…) Secondo una prima ricostruzione dei fatti, Bucci è stato ucciso da una pressa di un impianto a valle della complesso catena produttiva dello stabilimento. Il meccanismo sarebbe entrato in funzione mentre l’operaio era all’interno del macchinario, un’operazione di routine in quel reparto. (…) Il Patron (De Cecco nda): vicini alla famiglia. E’ l’incidente più grave negli ultimi vent’anni. (…) Lo stabilimento chiuso 24 ore in segno di lutto.

Dal quotidiano “Il Centro” 1 settembre 2011. Operaio morto alla “De Cecco” di Ortona, indagato il patron Filippo Antonio e due dirigenti (…) Uno è il responsabile per le misure di sicurezza, l’altro il capo del reparto in cui lavorava Bucci (ipotesi omicidio colposo)

Cosa significa un’operazione di routine? Le altre volte sono stati più fortunati? Anche Andrea Gagliardoni è morto all’età di 23 anni, schiacciato da una pressa tampografica per le mascherine delle lavatrici Ariston, il ragazzo l’aveva messa in standby, ma è ripartita. Durante il processo emerse che al maccchinario erano stati tolti 3 dei 3 sistemi di sicurezza.

Mi sono sempre chiesta perchè in Campania la pasta De Cecco costasse meno che in Abruzzo. Nonostante questo assillo, sono abruzzese e come gli italiani comprano Fiat in caso di crisi, da abruzzese compro De Cecco. Apprendo della Morte di Massimiliano, che probabilmente comprava spesso la pasta che confezionava perchè anche lui era italiano. Un tam tam di interventi, anche i sindacalisti, quelli che stanno dietro una scrivania, ribadiscono più controlli: dopo che c’è scappato il morto!

Nel 2008 scrissi Morti bianche, tante famiglie testimoni. Sono trascorsi 3 anni, cambiano i nomi, i luoghi, ma le modalità sono le stesse. Si indaga sull’operaio, il solito coglione che si è distratto, il solito che adesso mette in crisi l’azienda, il lavoro di tutti, la solita accusa per omicidio colposo, un bravo avvocato a difendere la reputazione del padrone ed il posto di lavoro di chi rimane e potrebbe essere il prossimo. C’è scrisi, si deve lavorare, lavorare a nero, fare straordinari sottopagati, insomma bisogna difendersi il posto di lavoro.  C‘è crisi, il primo costo che va ridotto è quello sulla sicurezza, quello che non viene toccato è quello sulla pubblicità, per gli sponsor.  

Vorrei leggere un solo commento: “Lavoro alla De Cecco….” per far sapere a chi è fuori, come vanno le cose lì, sarebbe già un passo avanti

Vorrei un atteggiamento dei media diverso dal solito oblio, non basta una foto in prima pagina. C’è un dopo ed è giusto che le persone sappiano

Vorrei che i sindacati non dimentichino questi giorni di appelli e di parole. Occorrono i fatti

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