Piera Petrini Levo ha 53 anni, è figlia di un imprenditore, a sua volta è diventata imprenditrice per salvare l’azienda di famiglia. Salvarla da chi? Non dalla crisi, ma dalle banche che per tutelarsi le hanno fatto sottoscrivere, con l’inganno, derivati. Da quel momento sono cominciati i guai per la sua impresa ma la rabbia le ha permesso di portare avanti una battaglia contro coloro che la stavano facendo fallire.
La testimonianza di Piera: “Oggi la Nuova bb ha quattordici dipendenti e sei soci, la trasformazione in rsl e l’arrivo dei nuovi soci è contestuale ai problemi che abbiamo avuto con il sistema bancario. Nel 2000 mio padre ebbe dei grandi problemi di salute e decise di smettere di occuparsi dell’attività. Come tutte le persone che hanno creato la loro attività penso che mio padre fosse convinto che la sua creatura dovesse morire con lui. Lavoro in azienda dal 1979, da quando conseguii il diploma, perciò mi sono opposta con tutte le mie forze a questa sua decisione, litigando furiosamente. Ma fu irremovibile e ritirò le sue fideiussioni dall’istituto di credito primario, cioè il San Paolo. Questa decisione provocò una catastrofe a catena perché in qualche modo le altre banche se ne approfittarono: il San Paolo mi revocò immediatamente gli affidamenti, quindi dovevo cercare delle alternative. Mi recai presso la Cassa di Risparmio di Torino, che era l’unica banca presente in paese. Fui subito molto sincera con il direttore della filiale, che consideravo un amico. Lui mi disse che non ci sarebbero stati problemi con la segnalazione fatta dal San Paolo sulla revoca dell’affidamento e con il ritiro delle fideiussioni che eventualmente mio padre avesse fatto anche presso di loro. Quando arrivò il momento di rinnovare i fidi, il direttore si presentò in azienda con un’altra persona, che poi è stata rinviata a giudizio insieme a lui, e mi fecero sottoscrivere un contratto, con oggetto dei derivati, come condizione sine qua non per avere il rinnovo degli affidamenti. Il tutto mi fu descritto come un’assicurazione sui tassi a costo zero, come un privilegio nel caso in cui la direzione avesse scoperto il ritiro delle fideiussioni, cosa che poi non avvenne. A febbraio del 2001 notai dall’estratto conto il primo addebito, fra l’altro leggero, circa 900 mila lire. Tutto quello che possedevo l’avevo già dato in garanzia, ero stata privata di tutto, mi sono trovata davanti ad un vera e propria estorsione. Il mio obiettivo era quello di riuscire a pagare i fornitori, i dipendenti, l’Inail, le tasse, senza i soldi della banca non avrei potuto farcela. Non potevo corrispondere ulteriori interessi oltre a quelli che già pagavo, chiamai il direttore della banca, che si presentò nuovamente da me e lui mi precedette dicendo: “Ci siamo resi conto che l’assicurazione così non va più bene perché abbiamo sbagliato i parametri e quindi dobbiamo farne un altro contratto, chiaramente per un l’asso di tempo e per un importo superiori” Sei mesi dopo capii di essere stata truffata perché nell’estratto comparivano due operazione di segno contrario, con valuta marzo, di 44 milioni di euro, ebbi la prova che nel contratto sottoscritto qualcosa non andasse. Il Pubblico Ministero, il perito nominato dal tribunale e ben tre giudici hanno stabilito che quella transazione è il metodo per applicare il tasso di usura, mi fu applicato un tasso superiore al 28 per cento. Feci la prima contestazione formale nel mese di novembre quando ricevetti l’ennesimo addebito: telefonai in banca ed il direttore si fece negare, andai di persona e fece finta di non conoscermi. Tornai a casa molto adirata, scrissi una raccomandata di fuoco in cui esplicavo che avevo firmato un contratto legalmente valido ma probabilmente mi fu fatto sottoscrivere con l’inganno, inoltre non mi era stata consegnata la copia, (la ebbi dopo un anno mezzo dietro richiesta di un legale)
Intanto avevo enormi problemi di liquidità e poco lavoro. Io e mio marito, che nel frattempo eravamo rimasti soli perché mio padre non ne faceva più parte, dovevamo decidere se continuare o chiudere. Riunimmo i nostri collaboratori e chiedemmo a tutti se avessero portato avanti l’azienda con noi in società. Quando il lavoro ci consentì di essere un pochino più sereni, chiudemmo definitivamente i nostri rapporti con quella che nel frattempo era diventata l’Unicredit e iniziai a studiare giorno e notte: il contratto che mi avevano fatto firmare, la giurisprudenza italiana, internazionale e quando coinvolsi Elio Lannutti[1], insieme, riuscimmo a far aprire un’inchiesta giornalistica da parte della Gabanelli e vennero avviate indagini presso varie procure italiane. Il 26 aprile di quest’anno sono state rinviate a giudizio le persone che mi hanno fatto sottoscrivere derivati. La rabbia, la voglia di giustizia, per me e per gli altri, mi hanno spinta ad andare avanti anche da sola, mi sono sentita tradita da persone di cui mi fidavo in un momento in cui ero fragilissima perché stavo lottando per mantenere in vita un’azienda. Attraverso la rete ho scoperto che almeno altre 50mila persone hanno vissuto la mia stessa esperienza. Nonostante tutto la mia azienda è sopravvissuta e devo dire che l’aiuto di alcuni giornalisti è stato prezioso hanno pubblicato la mia testimonianza, scambiato informazioni.
Non c’è dubbio che la crisi sia stata causata dalle banche. La loro responsabilità è immensa e duplice. In qualche modo con i soldi facili hanno illuso tantissime aziende di potercela fare salvo poi incastrarle, metterle sotto pizzo con questo tipo di speculazioni. Inoltre non sono state in grado di esaltare una classe imprenditoriale per il merito: ci sono tantissime aziende che loro hanno fatto fallire perché non erano amici degli amici, perché non avevano una collocazione politica o un padrino. Mentre si sono completamente dimenticate di dare fiato a chi in qualche modo lo meritava, non mi riferisco solo a me stessa, ho visto chiudere decine di aziende perché le banche non anticipavano i crediti certi, se non a tassi di usura. Quelli che ce l’hanno fatta hanno chiuso con le loro gambe, gli altri hanno portato i libri in tribunale. Nel mio caso uno degli illeciti che hanno commesso è stato proprio questo: non mi puoi fare un contratto a 5 anni su un fido di anticipo fatture auto liquidante entro 120 gg. Cosa mi stai comprendo con 5 anni? Mi piacerebbe tantissimo essere la vincitrice della prima sentenza di condanna dei due funzionari di banca, anche se non sono riuscita ad arrivare ai vertici, la mia vittoria potrebbe aiutare tante procure d’Italia che stanno facendo questo tipo di indagine perché i derivati li hanno proposti la maggior parte delle banche. L’attuale Ministro Corrado Passera proviene proprio dalla banca che mi ha causato tanti guai, anche se contro Intesa San Paolo non ho potuto fare nulla perché avevano basato l’affidamento sul ritiro delle fideiussione di mio padre e questo non è illegale. Oggi Passera è indagato nella vicenda della Giacomini Spa,[2] mentre il sottosegretario alla Giustizia Zoppini[3] si è dovuto dimettere. Questa vicenda mi fa arrabbiare perchè la Giacomini, un mio fornitore, ha esportato soldi esentasse in Lussemburgo, ad una sede del San Paolo, e poi sono stati messi a garanzia del San Paolo in Italia ad un prezzo che noi ci sogniamo di notte. Quindi per loro i soldi c’erano perché le indagini hanno accertato questo, ora bisogna stabilire se è stato commesso un reato o meno. A questo punto mi chiedo, come possiamo tollerare un Ministro che come amministratore delegato o si è reso responsabile o non sapeva ed era una marionetta in mano a qualcuno? In entrambi i casi chi non sa gestire una banca non può governare un Paese. Attraverso meccanismi diversi le banche sono state gli attori e gli artefici della morte delle piccole e medie imprese. Il problema è che la crisi non la pagano loro, ma i cittadini e la politica è coinvolta a 360 gradi perché o sono collusi o sono imbecilli e in entrambi i casi tutta questa classe politica va completamente azzerata.”
[1] Presidente dell’Adusbef (Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari, Finanziari, Assicurativi)
[2] Corrado Passera è indagato dalla procura di Biella per presunti reati fiscali che sarebbero stati commessi in quanto ex amministratore delegato di Banca Intesa prima e consigliere delegato di Intesa Sanpaolo dopo la fusione con l’istituto torinese. I fatti sono relativi al periodo compreso tra il 4 agosto del 2006 e il 27 giugno del 2007 e le contestazioni riguardano un’operazione detta di arbitraggio fiscale internazionale transitata attraverso Biverbanca, istituto biellese all’epoca controllato da Banca Intesa e poi ceduto al Montepaschi. 30 giugno 2012 http://www.lastampa.it oltre 200 milioni di euro volati negli anni dall’Italia verso il paradiso fiscale del Granducato. Per un paio di procure del Nord Italia, quella di Verbania e quella di Milano, il capo della Seb avrebbe avuto un ruolo non marginale nella colossale frode fiscale di cui è accusata la famiglia Giacomini, titolare dell’omonima grande azienda piemontese, tra i leader mondiali nel settore delle rubinetterie, con oltre mille dipendenti. Secondo la ricostruzione dei pm di Verbania, il capo della procura Giulia Perrotti e il sostituto Fabrizio Argentieri, i soldi evasi al fisco dai Giacomini sono finiti per la quasi totalità su conti della banca lussemburghese di Intesa. Ma c’è di più. La Seb di Lussemburgo non solo custodiva il tesoro dei Giacomini, ma lo gestiva attraverso propri fondi e all’occorrenza ha prestato somme ingentissime alla famiglia. Insomma, un servizio completo. 7 luglio 2012 http://www.ilfattoquotidiano.it
[3] Guardia di Finanza e Carabinieri sono al lavoro per scoprire la destinazione finale dei flussi di denaro. Ieri perquisizioni si sono svolte in Marocco e Lussemburgo e, con altri obiettivi, anche nell’ufficio del senatore della Lega Enrico Montani. Gli inquirenti sospettano che Giacomini lo abbia corrotto al fine di ottenere, a Palazzo Madama, l’approvazione di agevolazioni fiscali per il settore dei prodotti industriali. Ipotesi negata dal senatore: «Nessuna promessa, né dazione di denaro». Insieme a Zoppini sono circa un ventina le persone iscritte nel registro degli indagati. Secondo l’accusa, rispetto alla quale Zoppini si è detto certo di poter «chiarire ogni aspetto che mi riguarda», l’ex sottosegretario del governo Monti avrebbe aiutato i titolari della Giacomini Spa a realizzare la frode fiscale internazionale con una consulenza per la quale il giurista – titolare della cattedra di diritto privato all’università di Roma Tre – sarebbe stato ricompensato, secondo le ipotesi formulate dai magistrati piemontesi, con 800mila euro in nero su conti esteri. Due giorni fa è stato lo stesso Zoppini a rivelare di essere stato raggiunto da un’«informazione di garanzia» per frode fiscale e dichiarazione fraudolenta. 17 maggio 2012 http://www.liberoquotidiano.it
[4] Il gup di Milano Maura Marchiondelli ha rinviato a giudizio Alessandro Profumo, ex ad di Unicredit, e altre 19 persone con l’accusa di frode fiscale. Il caso riguarda una maxi evasione fiscale messa in piedi da Unicredit e dalla banca inglese Barclays per 245 milioni di euro, attraverso un’operazione di finanza strutturata chiamata Brontos. I due istituti, secondo l’accusa, con l’aiuto di due società inglesi e lussemburghesi, avrebbero camuffato utili facendoli passare per dividendi, quindi soggetti a una aliquota fiscale più bassa. 5 giugno 2012 milano.corriere.it
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