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Archive for the ‘6 aprile 2009’ Category

natale2Il tempo trascorre e nessuno lo può fermare. Si arresta solo per chi non c’è più.

Mancano i volti, i sorrisi, le voci, nelle abitazioni, nelle strade, nelle piazze. Bisogna aspettare l’evento per riempire le vie, ma in alcuni casi non c’è nessuno evento che possa riportare la vita.

Mancano le idee, i progetti, una politica costruttiva, la ricostruzione delle abitazioni, la ricostruzione sociale. Manca la città, quella vivibile, quella a portato di uomo. Manca la normalità, quella che c’è in tutte le altre città e lo scopri ogni volta che percorri un marciapiede con vetrine, persone che guardano, commentano.

Riccardo, 16 anni, esce il sabato sere e commenta: “Questa città mi va stretta”, a tanti è andata stretta: L’Aquila ha sempre offerto poco, ma oggi non offre nemmeno un corso principale illuminato. Laura, 36 anni, ogni volta che lascia la città sente una sensazione di liberazione, leggerezza, tornare… tornare a volte è impossibile e, a volte, è difficile andare via per sempre. Ma viverci dà la sensazione di trovarsi in un set di un film horror, senza effetti speciali. Con l’avvicinarsi dell’anniversario del terremoto è impossibile non ricordare, ed è avvilente vedere la farsa della commemorazione con coloro che promettono ogni anno, con le stesse parole, con lo stesso sguardo, ma per 364 giorni, pur avendo la possibilità, non fanno nulla di concreto.

Mancano la piazza, il mercato, le grida del fruttivendolo, il parcheggio in doppia fila, fischiettio di rimprovero del vigile. È stato spostato tutto, ma ciò che nasce in un luogo, se viene estirpato, non sempre attecchisce in un altro posto.

Marco non è mai più tornato in centro: “Non c’è niente, che vai a vedere? Le impalcature? Quello che non c’è? Il vuoto? Il silenzio? Il buio?” Donatella invece per non perdere l’appartenenza vorrebbe tornarci il più possibile.

Sono sensazioni, stati d’animo, impressioni che si hanno dopo 5 anni senza…. L’Aquila

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424669_10150527146787541_1355936771_nQuattro primavere, quattro estati, quattro autunni, quattro inverni. Sono trascorsi così quattro anni dal 6 aprile 2009. Il silenzio è ancora protagonista del centro storico. I cantieri avviati sono ancora pochi rispetto all’inagibilità di una città. Molti abitanti si sono guardati intorno, privi di risposte sul loro futuro, sono migrati; tanti ci pensano spesso, altri si sono pentiti di non averlo fatto subito dopo il terremoto. Cedono i puntellamenti che ormai hanno accumulato pioggia, neve, vento, sole e cede anche la forza di chi aveva riposto speranze nella ricostruzione dell’Aquila. Si sono succeduti commissari, ordinanze, delibere che hanno creato solo la certezza di un progetto C.A.S.E. (circa 4.400 alloggi) costato 833 milioni di euro e caro da mantenere (oltre 8 milioni di euro l’anno). (Ci sono anche i M.A.P ed i M.U.S.P, ma mi limito al progetto C.A.S.E.) Se tutti questi milioni di euro fossero stati dati ai cittadini, sarebbero toccati finora oltre 180.000 euro a famiglia. Il condominio dove abito è composto da 8 famiglie, quindi sarebbe spettato almeno un milione e quattrocentomilaeuro, buttare giù il palazzo costa un milione e mezzo (ci deve guadagnare l’amministratore del condominio, l’ingegnere, ecc.). Qualcuno si chiederà: “E nel frattempo? Ci mettevano nei container?” Nel frattempo avremmo potuto accettare l’offerta della società olandese: moduli abitativi arredati al costo di 800 euro/mq (niente a che vedere con i container, sono gli stessi moduli con cui si costruiscono le università olandesi).

293820_10150625390052541_1141425841_nL’emergenza terremoto per la sistemazione degli sfollati in tendopoli, alberghi, caserme è costata, a detta di Bertolaso, due miliardi di euro, quindi si potevano utilizzare questi soldi per acquistare i moduli per un costo complessivo di circa 250 mila euro (70 mq per modulo) e urbanizzazione l’area dove sarebbero stati collocati, ma la proposta fu rifiutata e non è difficile capire i motivi, con le varie inchieste che hanno coinvolto le cricche. Il miliardo (inizialmente erano due) messo a disposizione dall’Inail, per un problema burocratico, è stato utilizzato solo in parte l’anno scorso per la nuova sede dell’Agenzia delle Entrate. Con le donazioni sono stati raccolti tantissimi soldi: oltre 75 milioni di euro (32 milioni destinati alla realizzazione del progetto C.A.S.E., 6 milioni per l’urbanizzazione, 22 milioni per i M.A.P., 9 milioni per un piano di interventi a carattere pubblico e sociale, spiccioli alle imprese tramite Etimos). Nessuno ha fatto il conto di quanto sono costate le innumerevoli visite di Berlusconi, qualcuna di Napolitano, la visita dei deputati del Pd, molte di Barca (quando si spostano hanno al seguito auto blu, scorta, dispendio di forze di polizia locali) Per il quarto anniversario ci sarà il Presidente del Senato e qualcuno propone una seduta del Senato a L’Aquila: altri soldi pubblici che se ne vanno… imitando la seduta del Consiglio dei ministri ed il summit del G8 voluti da Berlusconi.

292251_10151318259747541_28450666_nNel corso del tempo l’uomo per alcuni aspetti è regredito. Basta pensare che dopo il terremoto distruttivo del 1349 il Gran Cancelliere del Regno di Napoli, appartenente ad una potente famiglia aquilana, di fronte alla prospettiva di vedere spopolata la città, fece sbarrare con delle tavole le brecce apertesi nelle mura ed istituì dei presidi. Nel 1456 un terremoto colpì nuovamente la città e venne ricostruita subito grazie alla ricchezza di quel tempo. Nel 1703 ci fu un altro terremoto distruttivo, palazzi e monumenti distrutti o rasi completamente al suolo, ma L’Aquila fu ricostruita dalla forza e dalla tenacia di pochi abitanti rimasti e fu ripopolata per volontà di Clemente XI che impose ad un certo numero di preti e suore di svestire l’abito talare e contribuire a ricostruire la città e i nuclei familiari.

L’Aquila è stata lasciata in balia degli sciacalli di ogni genere, grazie alla superficialità con cui sono stati svolti i controlli sulle certificazioni antimafia, la criminalità organizzata è riuscita ad accaparrarsi molti appalti del progetto C.A.S.E. Successivamente delinquenti di rango inferiore hanno gestito i furti in appartamenti e del rame; proprio mentre il Prefetto dalla risata facile lasciava una città, a detta sua, con una criminalità invariata (ammesso che sia vero, l’obiettivo non dovrebbe essere la diminuzione?)

(foto di Maurizio Aloisi, la parte storica è presa dal libro Ju tarramutu)

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iuratoIl terremoto del 6 aprile 2009 ha cambiato la vita agli abitanti di un’intera regione e non solo. Da quasi quattro anni ci sono genitori che non possono abbracciare più i loro figli, nonni che non hanno conosciuto il nipote che sarebbe nato di lì a pochi giorni, figli che non  possono più vedere i sorrisi dei loro genitori. Ognuno di loro si porta dentro dei rimorsi: “E se non avessi dato retta alla televisione, e se non avessi dato retta alla Commissione grandi rischi, e se avessi dormito in macchina…” Se fosse andata così, probabilmente le vittime del terremoto non sarebbero state 309. Gli studenti del Convitto, quelli della Casa dello studente, quelli che abitavano in case fatiscenti e quelli che abitavano in case nuove, ma costruite in virtù di leggi: speriamo che non accada nulla, sarebbero tutti ancora qui a costruire il loro futuro. Invece non è andata così, ed ogni anno il 6 aprile si tiene una fiaccolata per non dimenticare… per non dimenticare che Silvio Berlusconi ci ha fatto una campagna elettorale con il terremoto di L’Aquila, ci ha fatto lavorare imprese in odore di mafia, ha riconfermato quel sistema italiano basato su corruzione, mazzette, rapporti amicali e clientelari. Per non dimenticare che alle 3 e 32 c’era chi moriva schiacciato dal peso delle macerie, dalla polvere del cemento e chi si sfregava le mani perché da quelle macerie, da quella polvere ne avrebbe tratto beneficio. Per non dimenticare che gli appalti si spartivano fra un massaggio e l’altro nel Salaria sport village mentre agli aquilani stavano per appioppare un progetto C.A.S.E. che dal giorno dopo avrebbe incominciato a sgretolarsi. Per non dimenticare che gli isolatori sismici non sono stati testati e c’è un processo incorso. Per non dimenticare che la magistratura sta portando avanti le inchieste sulle responsabilità dei massimi esperti di terremoto che hanno rassicurato. Per non dimenticare che non è la scienza che si processa, ma un sistema basato su coperture reciproche. Per non dimenticare che la magistratura sta portando avanti le inchieste sui responsabili dei crolli affinchè non siano coloro che ricostruiranno la città.  Per non dimenticare che c’è un centro, una periferia dove la case sono ancora come il 6 aprile 2009. Per non dimenticare che l’ex Prefetto Gabrielli apostrofava il popolo delle carriole come cialtroni perché si ribellava ad un’informazione falsa. Per non dimenticare che dopo Gabrielli è stata inviata la Iurato, indagata per il suo operato a Napoli, e questa finse commozione di fronte ai morti, non del terremoto, ma della responsabilità umana.

Alla prossima fiaccolata potrebbero venire tutti coloro che hanno guadagnato sorrisi dal terremoto, magari, questa volta, una risata potrebbe toccare agli aquilani.

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In questi giorni la sentenza di primo grado, che condanna i sette membri della Commissione Grandi Rischi a 6 anni, è stata oggetto di critiche. Non sarebbe possibile condannare la scienza. Come al solito la stampa quando si parla del terremoto di L’Aquila fa sempre un po’ di confusione: tempestività dei soccorsi, ricostruzione della città, scienziati condannati ingiustamente. Le prime due sono state ampiamente smentite, per l’ultima affermazione riporto alcune testimonianze del libro “Ju tarramutu. La vera storia del terremoto in Abruzzo” uscito ad ottobre 2009:

Giustino Parisse, giornalista che ha perso due figli: «Aspettavamo il risultato della riunione del 31 marzo con la Commissione grandi rischi, il sindaco, gli assessori. Il giornale aveva preparato un paginone con il numero delle scosse, l’intensità, quando e dove c’erano state. Loro dissero: “E’ tutto a posto!”. Ora si scoprono le varie faglie, compresa quella di Paganica che non era stata studiata molto. Gli esperti dovevano dire che questo sciame sismico può presupporre una forte scossa. se state in una casa in cemento armato: potete stare abbastanza tranquilli; in una casa in pietre: fate attenzione. Se io fossi stato messo in allarme in quel modo, forse mi sarebbe venuto in mente di uscire fuori, di dormire in auto. Come operatore dell’informazione venivo informato male, e di conseguenza informavo male. Il paradosso è che la prima vittima sono stato io.»

Gaetano De Luca, fisico del Dipartimento di Protezione Civile: «Nel 1999 con molte difficoltà interne decidemmo di rendere pubbliche queste conoscenze. La nostra (mia e dell’ing. Giovanni Dongiovanni) intervistafu pubblicata dai giornali locali. In Italia ci sono due “banalità: il geologo dice che in Italia abbiamo un’alta pericolosità sismica (ma non ci serve lui, ce lo dice la storia) e l’ingegnere diche che abbiamo tantissimi centri storici con alta vulnerabilità (ma non ci serve lui, abbiamo u patrimonio antico è normale che lo sia) noi aggiungevamo il fattore 10. Quindi bisognava pensare a mettere in sicurezza il centro storico. Il mattino seguente, sul mio tavolo c’era una lettera di censura, non dovevo dire quelle cose e incominciò il mobbing nei miei confronti: mi furono tolti tutti gli strumenti per poter lavorare»

Maurizio Aloisi, cittadino aquilano: «Non si può vivere in un Paese dove non si fa prevenzione, dove si sottraggono risorse al soccorso pubblico, ai Vigili del Fuoco sotto organico con turni massacranti e mal pagati. In una condizione del genere ci si aspetta, da chi è deputato a governare, di organizzare dei piani di soccorso in caso di terremoto, ma soprattutto di informare e non nascondere ai cittadini il pericolo che corrono.»

Luigi Idrofano, Vigile del Fuoco in servizio la notte del 6 aprile a L’Aquila: «La gente ci chiedeva che cosa dovesse fare, se rientrare o rimanere all’aperto in piazza; ciò mostrava l’inesistenza di una pianificazione, adesempio campi base, che purtroppo non sono di nostra competenza. Non abbiamo mai detto: “Rientrate in casa, perché non succederà niente!”»

Claudio Martinazzo, medico dell’ospedale San Salvatore: «Nessuno ha dato mai notizie su quello che dovevamo fare, sulle cose pratiche, questo lo dico come medico  non come cittadino. Non avevamo un piano di evacuazione e non abbiamo mai fatto esercitazioni in caso di terremoto, incendio. Se la scossa fosse stata in piena giorno nessuno avrebbe saputo come comportarsi.»

Antonietta Centofanti, zia di Davide Centofanti morto nel crollo della Casa dello studente. «Nei mesi precedenti al 6 aprile se avessimo avuto al Governo delle persone responsabili si poteva e doveva tener conto dello studio di Abruzzo Engineering. Nel 2004 aveva segnalato una serie di edifici strategici e scuole a rischio di sisma. Questo studio, pagato cinque milioni di euro, è rimasto nel cassetto.»

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Ad ogni tragedia parte lo spot per mandare sms ai disgraziati di turno. L’Aquila fa da apripista il 6 aprile 2009, e con le donazioni degli italiani vengono raggiunti quasi 66 milioni di euro. In molti ci siamo chiesti che fine avessero fatto? Quei soldi erano stati inviati perché le immagini di distruzione, lacrime, gente senza niente, avevano fatto il giro del mondo. Ogni donatore spera di aver contribuito per un pezzo di tetto, un campanile, una trave di una fabbrica, al laboratorio per le analisi. Invece, il dubbio torna a galla oggi perchè si chiede nuovamente di donare con un sms agli emiliani, anche loro senza più un’attività, fuori di casa ed evidentemente spaventati. Ma stavolta la stampa è meno imbavagliata rispetto a tre anni fa, ed esce fuori che quei una parte di quei soldi (cinque milioni) la Protezione Civile li ha donati a Etimos Foundation . Etimos Foundation da più di vent’anni raccoglie risparmio e lo gestisce investendo nei Paesi in via di sviluppo, a sostegno di programmi di microcredito, cooperative di produttori, iniziative microimprenditoriali e organizzazioni di promozione sociale. Come sta gestendo i 5 milioni lo fa sapere esattamente dopo 38 mesi attraverso il suo sito: “iniziative di microcredito e microfinanza”: 

  •  reddito solidale per famiglie importo massimo 10.000 euro, durata massima 60 mesi, tasso IRS di riferimento +2,5% (tasso fisso per tutta la durata del finanziamento), nessuna spesa di istruttoria. 
  • Mutuo chirografario per imprese e cooperative importo massimo 50.000 euro, durata massima 60 mesi, tasso IRS di riferimento +2,5% per durate superiori ai 18 mesi, Euribor a 3 mesi + 2,5% per durate inferiori ai 18 mesi (tasso fisso per tutta la durata del finanziamento), nessuna spesa di istruttoria. 
  • Anticipazione crediti per imprese e cooperative importo massimo 50.000 euro, tasso Euribor a 3 mesi + 2,5% (tasso fisso per tutta la durata del finanziamento), nessuna spesa di istruttoria.

Tutte queste notizie sono presenti nel sito http://www.microcreditoabruzzo.it, quindi la trasparenza c’è. Ma le intenzioni del donatore sono differenti, manda aiuti affinchè vengano realmente distribuiti ai cittadini bisognosi. Nessuno avrebbe mai pensato che quei soldi generassero, seppur minimo, un interesse per qualcuno. Comunque allo scadere dei 9 anni, previsti per il progetto, l’importo non erogato verrà restituito alla Regione Abruzzo, che potrà scegliere liberamente come utilizzarlo a favore della popolazione. Forse è solo questione di tempo! Per ora è meglio recarsi sul posto per  avere la certezza che il proprio aiuto vada a buon fine.

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Guido Bertolaso dal suo blog dispensa consigli agli emiliani. Li esorta a chiedere o meglio pretendere che le linee dello sviluppo e della ripresa economica che tutti ritengono essenziali abbiano due punti centrali come perno.

  • Il primo, immediato, nell’aiuto esplicito e forte alle imprese fermate dal sisma in Emilia e in tutte le aree del cratere sismico per riprendere immediatamente la produzione, in modo da non mettere queste imprese, da tempo capaci di competere a livelli di eccellenza mondiale, nella condizione di subire anche danni di mercato oltre a quelli ricevuti dal terremoto.
  • La seconda, di costruire le linee degli investimenti pubblici che il Governo intende farsi autorizzare in Europa in una sola direzione: messa in sicurezza del territorio, degli edifici strategici, delle scuole, delle infrastrutture. Niente “grandi opere”, ma una sola grande opera diffusa e capillare: la messa in sicurezza delle fragilità più pericolose dei nostri territori.

Guido Bertolaso che scrive sul blog dal nome Il sito di Guido Bertolaso non dev’essere lo stesso che era a capo della Protezione Civile il 6 aprile 2009. Non dev’essere lo stesso che diceva a Daniela Stati (assessore  alla Protezione Civile della regione Abruzzo) di rassicurare con un evento mediatico la popolazione evidentemente scossa dallo sciame sismico che interessava L’Aquila da quattro mesi.

Deve aver dimenticato che alle imprese aquilane di aiuti ne sono stati dati pochissimi: 800 euro per tre mesi e null’altro.  Ci sono imprese che hanno chiuso e non hanno più riaperto, altre che hanno provato ma poi hanno dovuto chiudere. Deve aver dimenticato anche la passerella sottobraccio a Berlusconi, per pubblicizzare il miracolo delle New town (la “grande opera” che non auspica in Emilia, anche perchè gli sfollati sono soli 15mila e nelle New town aquilane vivono circa 40mila persone). Per il terremoto che ha colpito l’Abruzzo, l’Europa voleva intervenire, propose anche un appalto per la ricostruzione a livello europeo, ma Berlusconi disse che non c’era bisogno di nulla… avevano già Camorra, ‘Ndrangheta, Mafia che pensavano a tutto.

Dev’essersi dimenticato completamente de L’Aquila, del resto ha creduto anche lui nella ricostruzione tanto sbandierata dai media di regime perchè  è impensabile che si sieda in poltrona a guardare uno speciale di Report o Presa Diretta sul terremoto che l’ha reso famoso. Così come dev’essersi dimenticato che lui è indagato per omicidio colposo plurimo e disastro colposo in relazione proprio al terremoto de L’Aquila.

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Dal libro Ju tarramutu. La vera storia del terremoto in Abruzzo. “Mi chiamo Antonio Moretti. Sono un geologo, vivo a L’Aquila, dove faccio ricerca e insegno all’università. Da venticinque anni studio la sismicità della Penisola, prima con la Regione Toscana, poi con l’Istituto Nazionale di Geofisica, il Cnr (Gruppo nazionale difesa dei terremoti) e il laboratorio di sismologia dell’Università della Calabria. E ora eccomi qui, tra i calcinacci della facoltà di scienze, terremotato come gli altri.

Mi chiederete si si poteva prevedere? In una zona ad altissimo rischio sismico, nella parte tettonicamente più attiva dell’Appennino, il terremoto non è una probabilità, è una certezza. Il problema semmai sarebbe quando e dove, ma con una lacuna sismica di oltre trcecento anni, sarebbe bastato un briciolo di buon senso per indurci a prendere qualche precauzione. Del resto lo sciame sismico cominciato ad ottobre 2008, non era il primo in questi ultimi venti anni. Ce ne fu uno nel 1984 nel corso del quale c’erano già le roulotte pronte alla stazione inviate dall’allora Ministro Zamberletti, perché in una zona a rischio sismico dove non c’erano terremoti da 300 anni, evidentemente c’erano delle strutture cariche. In quell’anno lì, il terremoto fece pochi danni e molta paura. Nel 1994 ci fu un altro allarme sismico dove la scossa più elevata fu 4.4° sull’altipiano delle Rocche. In ultimo questo cominciato ad ottobre 2008 con una prima scossa rilevata nella zona di Amatrice/Barete e poi si è spostata progressivamente verso sud dalle parti nostre. Le strutture sismiche del centro Italia sono: l’Appennino centrale (Collefiorito-Gubbio), Gran Sasso e Maiella (L’Aquila) e l’Appennino meridionale (Irpinia). Le ultime due si muovono sempre insieme: nel 1702 ci fu il terremoto a Benevento e nel 1703 a gennaio ci fu ad Amatrice e a febbraio nell’aquilano e poi nel 1706 a Sulmona. La struttura si carica, si muove un pezzo, fa una deformazione che si muove a sua volta e va a spingere sulle strutture accanto che piano, piano si mettono in moto anche loro. Quindi era evidente che ci sarebbe stato un terremoto: c’era stato nella zona di Collefiorito: c’erano stati nella zona dell’Irpinia e L’Aquila era una zona ferma da oltre 300 anni. (…)

Gli investimenti dell’Italia sui terremoti: 1980 (dopo l’irpinia) dieci miliardi di lire, nel 1983 otto miliardi, nel 1985 cinque miliardi, nel 1990 tutti a casa! (…)

Le faglie potevano essere monitorate con una rete di dettaglio locale, monitorare l’emissione di liquidi profondi lungo la struttura: acque calde, l’elio, co2, e il radon. Quest’ultimo è radioattivo quindi si misura facilmente. Il radon è uno dei precursori di attività sismica accertato. Aumenta come aumenta lo stato di stress lungo la faglia. Però non lo posso misurare ovunque, solamente quello che emerge lungo la frattura, per riconoscerlo devo misurare se ci sono gli altri gas, se c’è un campo magnetico, ecc. Associando tutto, posso dire se ci sarà una situazione di rischio. (…) È chiaro che non puoi dire scappate tutti… non puoi tenere le persone in piazza per due, tre anni. Ai miei studenti ho detto prendete una torcia elettrica, andate a letto vestiti, mettete le scarpe a portata di mano. Se fosse stato dato questo messaggio dopo il 31 marzo, la metà dei morti si potevano evitare.”

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 Luigi Idrofano. Le scosse erano cominciate già da ottobre/novembre. I cittadini privati ci chiamavano per fare sopralluoghi nelle abitazioni, ne facevano una sessantina al giorno. Infatti nelle ore diurne avevamo incrementato il personale con operatori in straodinario. In caserma parlavamo spesso del terremoto. Avevamo anche noi delle perplessità, pensavamo che ci potesse essere un picco, ma non avevamo gli strumenti per poter dire con certezza: “Attenti a quel giorno x.” Comunque eravamo pronti ad intervenire in caso di terremoto, in molti avevamo l’esperienza dell’Irpinia, di Gemona, delle alluvioni. Anche se ogni evento è diverso dagli altri. La notte del 5 aprile ero in servizio, eravamo 13 vigili. Ci fu la scossa delle 23. Incominciavano ad arrivare segnalazioni da parte dei cittadini.

Achille Sevi. Era un continuo di richieste. La gente aveva paura. Voleva sapere che cosa dovevano fare perché le scosse furono abbastanza sostenute e c’erano state già piccole lesioni alle strutture. Uscirono due squadre. Ci siamo trovati in una situazione anomala, perché non si riusciva a capire cosa bisognava dire alle persone… abbiamo cercato di rassicurare.

Luigi. Purtroppo la nostra organizzazione parte dopo l’emergenza, avevamo allertato la nostra direzione a Coppito del gran numero di chiamate che arrivavano, anche il funzionario di guardia aveva contattato chi di competenza. Purtroppo i rinforzi non sono arrivati. La gente ci chiedeva che cosa dovesse fare, se rientrare, rimanere all’aperto in piazza; ciò dimostrava l’inesistenza di una pianificazione ad esempio di campi base, che purtroppo non erano di nostra competenza. Non abbiamo mai detto: “Rientrate dentro casa, perché non succederà niente!”. Verso le 3 la situazione si era un po’ calmata. Poi abbiamo vissuto il terremoto come tutti gli abitanti dell’Aquila e dintorni.

Achille. In sala operativa eravamo in due. Ci sono state due sequenze. Una prima fase forte, in cui sono riuscito a pensare solo: “Chissà se finisce così.” Subito dopo un’altra scossa ancora più forte, ancora oggi non riesco a quantificare il tempo che è passato. Subito ho capito che la situazione era grave perché durante il tremore non riuscivo più a percepire il soffitto, dove stessero i telefoni, le porte. Sono stati secondi tremendi, ho immaginato la città distrutta. Quando è sceso Idrofano gli ho detto: “Bisogna chiamare subito le persone libere, i distaccamenti più vicini.”

Luigi. Mi sono recato in sala operativa, con tutto il personale abbiamo pianificato le uscite in base alle telefonate che ci arrivavano. I ragazzi sono andati con mezzi piccoli e con autoscala diretti verso il centro storico. Comunicarono subito che L’Aquila era stata danneggiata notevolmente. La città è storica, ha vie strette, ci sono state difficoltà per gli accessi, non c’era possibilità di operare con i mezzi con i quali siamo organizzati. Inoltre avevamo bisogno di altre unità. Contattai i distaccamenti di Sulmona, Castel di Sangro, Avezzano, e i comandi di Teramo, Chieti, Pescara, Roma e Rieti. Sono partiti immediatamente, non sono venuti in caserma, si sono fermati dove serviva, ad esempio i vigili di Sulmona sono stati fermati a Barisciano, quelli di Avezzano a Via XX settembre. Devo ringraziare i cittadini aquilani perché hanno dato tanti aiuti, soprattutto indicazioni a quelli che venivano da fuori, perché noi eravamo nell’impossibilità di dare indicazioni a tutti.

Achille. Dalle 3.32 siamo stati subissati di telefonate. Per le 36 ore successive siamo rimasti in sala operativa, senza tregua. Abbiamo sei linee di 115 ed altre linee normali. In questi casi ci vorrebbe più personale. I colleghi sono usciti, si sono fermati dove c’era bisogno di aiuto. Sono usciti anche i funzionari che singolarmente erano sulle vetture a verificare dove serviva il nostro intervento. Per ogni chiamata che arrivava, abbiamo cercato di prendere nota, avevamo un lista d’attesa lunghissima. Arrivò la telefonata che ci diceva del crollo della Prefettura, dunque abbiamo preso noi le redini. Ricordo le chiamate dei genitori degli studenti disperati. Mi chiedevano le scale. Purtroppo noi non eravamo in condizione di poterli aiutare, a malincuore abbiamo dovuto dire: “Cercate di fare da soli”. In questi casi ti rendi conto della tua impotenza di fronte alle richieste di soccorso che arrivavano, almeno finché non sono arrivate le unità operative di fuori. Poi cerchi di dare indicazioni a loro sulle zone segnalate come più critiche. Nel terremoto interveniamo in tre fasi. La prima è subito dopo l’evento catastrofico: cercare di soccorrere le persone vive sotto le macerie, la più importante perché qui si possono salvare vite umane. Nella seconda fase le persone che sono uscite dalle abitazioni hanno bisogno dei loro beni di prima necessità, quindi le accompagniamo dentro le abitazioni ed entriamo a recuperare quanto ci segnalano. L’ultima fase è il puntellamento la messa in sicurezza degli edifici pericolanti. […]

Achille. Ho trent’anni di servizio, sono intervenuto in altri terremoti. Una città così collassata non l’avevo mai vista. Tutti erano impreparati per gestire un evento così devastante. La nostra struttura si occupa davvero di tanti interventi dai più gravi (terremoti, alluvioni) al gattino sull’albero, quindi andrebbe potenziata con un incremento di organico e un miglioramento dei mezzi a nostra disposizione.

Luigi. Personalmente credo che il centro storico dell’Aquila non possa essere ricostruito. Il danno è tanto. Ne abbiamo parlato anche con i colleghi, momentaneamente non c’è soluzione. L’economia aquilana era basata dagli universitari. Secondo noi in questo momento ci sono difficoltà non all’80 per cento, ma al 200 per cento. Il terremoto è stato più forte di quello che ci hanno voluto far sapere le istituzioni. Io che l’ho vissuto ho percepito un tempo superiore ai secondi ufficiali. Ha avuto evoluzioni sussultorie, rotatorie, ondulatorie. Un capoluogo come L’Aquila non era mai stato colpito. La Protezione civile avrebbe dovuto occuparsi della popolazione: supportarla psicologicamente e materialmente. Se gli aquilani non hanno avvertito ciò, significa che nell’organizzazione manca professionalità. Tutte le strutture presenti oggi, dovrebbero essere integrate da persone che sanno fare il loro lavoro, che hanno la formazione per garantire la sicurezza dei cittadini.

dal libro “Ju tarramutu. La vera storia del terremoto in Abruzzo”

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Il 18 maggio alle 19.00 presso la Bibliocasa in piazza d’Arti verrà presentato il volume “La puntura di Atlante” del medico aquilano Massimo Gallucci. Fin qui, nulla di anomalo, ma il luogo e l’oggetto hanno in comune di esser nati dopo il terremoto del 6 aprile 2009. La Bibliocasa è l’evoluzione del Bibliobus: un autobus concesso dall’Asm e trasformato dall’Arci de L’Aquila in una biblioteca itinerante per dare la possibilità, agli aquilani nelle tendopoli, di pensare meno alla vita di sfollato. A novembre del 2010 il Bibliobus ha trovato collocazione fissa in Piazza d’Arti ed è diventato una casa e un’associazione.

IL LIBRO: “LA PUNTURA DI ATLANTE” – “La puntura di Atlante” nasce dall’esigenza di un terremotato costretto a letto, dalla frattura di alcune vertebre che, per non dimenticare quella terribile notte, inizia a scrivere. Il libro viene pubblicato nel 2010 dalla casa editrice abruzzese Tracce, nello stesso anno il volume si è classificato terzo al premio letterario Saturo D’Oro ed è stato presentato al Festival delle Letterature dell’Adriatico. Luogo e oggetto si incontreranno per il secondo appuntamento “(o)maggio (al) giallo”*  che l’associazione Bibliocasa ha ideato poiché, dopo il terremoto, gli aquilani hanno privilegiato il genere thriller come lettura d’evasione.

(*lettura di brani a cura di Barbara Bologna e Patrizia Bellezza. Dopo la presentazione presso il Circolo Querencia ci sarà un aperitivo buffet e alle 21.30 il concerto dei Sale Chiodato che vedrà protagonista anche il dott. Massimo Gallucci.)

L’INTERVISTA ALL’AUTORE – Massimo Gallucci ha risposto ad alcune domande con umana e sana ironia

 “La puntura di Atlante” è il suo primo giallo, ma lei è già autore di testi scientifici, da dove è nata l’idea di cambiare genere?  

E chi cambia genere? Sono bigamo. Tutto qua. Battute a parte, l’idea non l’ho avuta io Credo che certe idee siano loro ad avere il sopravvento e scegliere di aggredire qualcuno. Io ero piuttosto debole, e così non ho resistito! Di fatto, col terremoto ho riportato una frattura vertebrale che mi ha costretto a letto, permettendomi di avere a disposizione del tempo che solitamente non ho. Da lì ho iniziato a voler fissare nella memoria quello che era accaduto. Non volevo rischiare di dimenticare. Ho iniziato con una lettera che ho inviato a “La Repubblica”, poi, da quella lettera, ho esteso i ricordi anche ai particolari più conflittuali, più inquieti: dalle informazioni mancate allo strazio inconcepibile di quella notte. Scrivevo e mi accorgevo che il materiale diventava più corposo e parallelamente più pesante, indigesto. Così, semplicemente, l’ho trasformato in un romanzo. Ho inventato un po’ di personaggi e costruito un intreccio che si dipana attorno alla storia primaria, quella del terremoto del 2009. E un dilettante corre meno rischi se un romanzo lo fa tinto di giallo: così è nata la storia di un omicidio (fasullo, letterario) intrecciato con la cronaca (vera, quella era vera!) di un terremoto, intrecciati entrambi con le vite di un gruppo di amici, con le loro contraddizioni, le loro adolescenze mai sopite, le loro rivoluzioni mai realizzate, i loro timori. Tutto si completa, si conclude col grande atto catartico (l’ho detto. Ho detto catartico! Come un vero scrittore del 2000. Poteri perfino dire ancestrali, riferito ai timori!) che appiattisce, elimina ogni futilità di fronte alla fine della vita e alla rivoluzione delle relazioni interpersonali. Beh, alla fine in questa invenzione letteraria restano vere le date e le ore delle scosse, le parole di certi verbali e di certe interviste, certi personaggi. Il resto è fantasia.

E’ un racconto che conquista, commuove e stupisce per l’ironia, ci sono dentro tanti argomenti, la musica, il terremoto, la psicologia, i drammi, L’Aquila, possiamo definirlo un libro autobiografico?

Tutti i libri sono autobiografici. Lo sono i saggi, come e soprattutto i romanzi. Forse quelli che lo sono di meno sono proprio le autobiografie. Lì uno il personaggio lo plasma,  lo cura, gli fa il lifting. Insomma lo falsifica a proprio uso e consumo! Prenda, invece, i romanzi. Quelli di Simenon, o quelli di Camilleri, o di chiunque altro. Mi vorrà dire che non sono tutti autobiografici? La Francia, la Parigi, la casa, la moglie di Maigret o  gli odori di Agrigento, il mare, la personalità  di Montalbano, non sono forse la traduzione di una forte immagine interiore, di un modello personale che gli autori hanno avuto e trasmesso? Quindi i romanzi sono autobiografici nella misura in cui i desideri, i sogni, le idee dell’autore si rendono manifeste. Se vuole sapere in che misura lo sia “La puntura di Atlante”, le direi che c’è un pezzetto di me in ogni personaggio, così come ci sono pezzetti di miei amici e della storia della mia generazione un po’ dovunque. Mi lasci sfatare però un mito: non sono certamente io l’identità segreta del protagonista, né in assoluto di nessun altro. Così come nessun personaggio non rappresenta un personaggio aquilano in particolare, sebbene, come già le dicevo, io abbia letteralmente trafugato pezzetti di storia, di personalità, aneddoti a molti miei amici. Il resto è frutto di fantasia.

Oltre alla stesura del libro ha curato anche la copertina, solitamente di questa se ne occupano le case editrici, si crea un cordone ombelicale fra autore e manoscritto?

Ho fatto un “global service”. Come avrà capito non sono un professionista e ho scritto per gioco, così come per gioco mi sono divertito all’elaborazione grafica di una foto proposta da una cara amica, Paola Pacifici, per quella copertina. Se fa caso alla locandina (dell’evento nda) c’è anche un concerto, quello dei Sale Chiodato, con cui suono, sempre per gioco. I dilettanti possono fare tutto, senza rischi. Non ci si guadagna una lira, anzi… ma vuol mettere la soddisfazione?

Cos’hanno in comune la medicina e la scrittura? Con “La puntura di Atlante” cosa vuole curare?

Non ho la pretesa di curare nessuno come medico, figuriamoci come scrittore. Da medico cerco di capire, consigliare, se possibile aiutare. Da scrittore cerco di capire, divertirmi e, spero, divertire. In comune? La curiosità e l’entusiasmo. Curare: solo me stesso.

Ha in cantiere altri romanzi?

Ci ho provato, ma finora è venuta fuori una schifezza. Magari lo pubblico a nome di mio fratello.

da Abruzzo Independent

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Il 6 aprile del 2009 le immagini della Casa dello Studente, la chiesa delle Anime Sante in piazza Duomo, il crollo del Palazzo del Governo… fanno subito il giro del mondo. Trecentonove vittime.

Messaggini, trasmissioni, canzoni, concerti… parte la gara di solidarietà tipica degli italiani, e non solo, di fronte ai disastri naturali.

Presidente del Consiglio, Capo della Protezione Civile, Presidente del Consiglio, Papa, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio… la passerella post sisma dove la presenza di Berlusconi sembra una candidatura per vincere un guinness dei primati.

Tendopoli, alberghi al mare o in montagna, amici ospitano le decine di migliaia di sfollati.

Intanto arrivano soldi a pioggia, non dal Governo, loro hanno stanziato per la ricostruzione 800 milioni di euro, ma da altri Stati, da associazioni, singoli individui.

L’Aquila più bella di prima, L’Aquila com’era prima, L’Aquila ricostruita… tendopoli fino a novembre e poi la costruzione di New Town, diciannove nuovi quartieri e così finiscono i soldi pubblici stanziati.

Camorra, ‘ndrangheta, mafia si manifestano in città, vincono gare d’appalto, hanno prestanome.

Le intercettazioni, le proteste, i processi, le difese: nessuno chiede scusa, nessuno si dimette.

Con fatica e qualche raccomandazione si riparano le case con danni leggeri, mentre, a distanza di tre anni, i progetti per la riparazione delle abitazioni classificate E, quindi inagibili, trovano ancora bocciature burocratiche.

Imu per le case inagibili, affitto per le case delle New Town che sono in comodato d’uso finché non si torna nelle proprie, una serie di gatte da pelare, ora per l’attuale sindaco, poi per il futuro.

Un rimpallo di responsabilità fra sindaco, presidente della regione e commissari, il tutto ritarda la famosa ricostruzione ed è un’ottima giustificazione per non far capire che soldi non ce ne sono. Gli esasperati hanno venduto le loro macerie agli stessi enti che avrebbero dovuto occuparsi della ricostruzione.

Un miliardo di euro messo a disposizione dall’Inail bloccato per mancanza di progettualità, ma in realtà significherebbe avere gli occhi puntati addosso di qualcuno che veglia e diventerebbe difficile dirottare soldi al comune che amministra il sindaco Caio o Tizio.

Nuove costruzioni più o meno discutibili come l’auditorium al parco del Castello. La politica ha deciso che ci dev’essere un auditorium, perché non si può fare una figuraccia con la provincia di Trento che lo finanzia e, come si legge dal cartello dei lavori: impresa, ingegnere, geometra.. trentatre trentini e gli aquilani in cassa  integrazione o peggio disoccupati.

6 aprile 2012  L’Aquila è ancora una città fantasma!

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